Con lo sport spalanchiamo le porte alla solidarietà
Stiamo lavorando per sbarcare a Lampedusa. Non sappiamo ancora se ce la faremo. Non è questione di “gommone” o di “mare grosso” ma di burocrazia. Siamo in contatto con il nostro Governo per portare “un pallone e un po’ di sport” nel luogo simbolo degli sbarchi dal Nord Africa. Stiamo cercando di farlo in un momento “delicato”, in cui tutti siamo preoccupati per il rischio di un’ondata di clandestini che i Ministri Maroni e Frattini stimano potrebbero essere anche 300.000. Perché dovremmo esserci a Lampedusa? Semplice. Perché il Csi ha sempre avuto il coraggio di esserci nei posti più scomodi, più difficili, più poveri della nostra vita quotidiana. È seguendo questa logica che siamo arrivati a fare attività in carcere, nelle periferie degradate, nelle comunità, nei centri di accoglienza, nei luoghi di aggregazione informale come la piazza o il muretto. È seguendo questa logica che abbiamo sempre aperto le porte delle nostre società sportive ai ragazzi “difficili”; a chi aveva bisogno di sentirsi amato perché non aveva nessuno che gli voleva bene; a quelli “scartati” daitradizionali gruppi sportivi. È seguendo questa logica che - aprendo una finestra sul mondo - abbiamo portato lo sport in Camerun, in Albania, in Zambia e in tanti altri Paesi in via di sviluppo. Non c’è dunque nulla di eccezionale nel cercare di andare a Lampedusa in questo momento. Noi sappiamo che lo sport “funziona” in ogni situazione di emergenza e che un po’ di attività ed una semplice partitella possono riportare il sorriso su volti segnati dalla disperazione e portare serenità e gioia in ambienti dove la tensione e la disperazione si respirano a pieni polmoni. C’è un altro sogno “semi-impossibile” che ci piacerebbe realizzare. Il 18 e 19 maggio si correrà l’edizione 2011 della maratona pellegrinaggio in Terra Santa (da Betlemme a Gerusalemme passando per il check point). Dedicata a Giovanni Paolo II è una maratona per la pace dove - da sempre - israeliani e palestinesi corrono insieme. Ci piacerebbe quest’anno allargare i confini e vedere correre insieme anche egiziani, libici, yemeniti, tunisini… per dire senza parole la speranza di essere e sentirsi fratelli di tutti. Queste sono azioni dettate dall’attualità, ma non bisogna dimenticare l’enorme lavoro silenzioso che segue le logiche della normalità. È la vocazione missionaria delle nostre società sportive. Mentre gli altri cercano i migliori, le nostre società sono sempre attente a scovare nel loro quartiere e nel loro territorio i “peggiori”, cioè quelli che nessuno vorrebbe. Sono impegnati ad accoglierli a braccia aperte, spalancando “spogliatoi e cancelli” ai deboli, agli ultimi, a chi è solo, a chi è in difficoltà… Bisogna essere forti, nella società di oggi, per stare dalla parte dei deboli. E la gente del Csi lo è da sempre.