La partita dello sport nel tempo della crisi economica
Sopravviverà lo sport, e come, nel tempo della crisi economica globale? La domanda comincia ad affiorare sui magazine di mezzo mondo. Una domanda logica, visto che lo sport mostra ovunque il volto dello show business, che trova il suo nutrimento vitale nei soldi versati da tifosi, emittenti Tv e sponsor. Con gli attuali chiari di luna quante famiglie decideranno di disertare gli stadi? Vorranno i network rinnovare i ricchi contratti sottoscritti con Leghe e Federazioni? Confermeranno le industrie “amiche”, anch’esse alle prese con la recessione, i precedenti budget pubblicitari incanalati verso lo sport? Non è un problema da poco, e lo sanno bene negli Usa, dove la crisi economica tocca il grande sport da almeno tre anni. La Lega dell’Nfl (football americano) oggi taglia il personale e studia come far rientrare il sistema dai circa 9 miliardi di dollari di debiti complessivi, in buona parte accumulati per lo stretto margine tra gli oltre 6 miliardi di entrate e i 4,5 di uscite per stipendi dei giocatori. La Lega basket e quella di hockey su ghiaccio studiano come ridurre i costi. Più grave ancora è che istituti universitari (i pilastri della base sportiva statunitense) come la Northern Iowa e la California University siano stati costretti dalle difficoltà finanziarie a tagliare la loro presenza in vari sport. Che succederà nel vecchio continente? Un anno fa – quando la crisi non era ancora arrivata ai livelli attuali – a Bruxelles una conferenza di illustri studiosi ha cercato di prevederlo, con un occhio di riguardo al futuro della base dello sport. I risultati lasciano pensare. Nei 27 paesi della Ue lo sport di base si regge su: fornitura di beni e servizi (49,7%); finanziamenti concessi dagli Enti Locali (24,3%); sponsorizzazioni e altri apporti dell’industria (14,1%); finanziamenti del Governo (11,9%). La seconda e la quarta fonte sono in progressiva diminuzione, per il calo delle disponibilità e per la scelta di indirizzare i fondi residui verso settori ritenuti più importanti. La terza fonte è anch’essa in calo, e indirizza il budget residuo verso lo sport spettacolo. Come evitare il tracollo? Si studiano ricette diverse. In Francia si pensa di chiedere agli Enti Locali di tagliare in prima istanza i fondi ai club professionistici salvaguardando quelli non profit. Sempre in Francia, nel 2009 il Centre National pour le Développement du Sport (Cnds), che gestisce il fondo per lo sviluppo dello sport ricavato da lotterie e scommesse sportive, ha avviato la politica di destinare il 65% delle risorse disponibili alle società sportive di base. Ed in Italia? Ad essere in “crisi profonda” non sono solo i club professionistici ma le società sportive di base. Parliamo di quelle che si fondano sul volontariato e che operano nelle periferie e nei terreni di frontiera. Rappresentano il più grande patrimonio del sistema sportivo italiano ma anche l’anello più debole della catena. Da tempo (ben prima della crisi) sono abituate a tirare avanti con coraggio tra mille difficoltà. Ora il rischio che restino travolte dalle conseguenze delle vicende degli ultimi mesi è reale e concreto. Serviranno scelte coraggiose e lungimiranti per valorizzarle e difenderle. Da sole non possono farcela.