A due mesi da Londra 2012, che sia un’Olimpiade 'umana'
Le Olimpiadi si
avvicinano. A Londra 2012 mancano esattamente 64 giorni. Tutto o quasi è
pronto. Ad oggi gli atleti italiani qualificati sono 227, e tra questi
Valentina Vezzali avrà l'onore di essere il nostro portabandiera alla cerimonia
di apertura. Il Presidente del Coni Gianni Petrucci, uomo saggio e prudente, ha
detto con chiarezza che l'obiettivo è quello di restare nei primi 10 posti della
classifica mondiale e che la speranza (non la certezza) è quella di rimanere
intorno alle 30 medaglie.
Durante le Olimpiadi a tenere banco saranno le vittorie e i successi. E tutti
speriamo che tanti siano italiani. Ma una delle cose belle dello sport è che,
al momento di scendere in campo, nessuno può essere certo della vittoria, e si
deve mettere in conto che l'avversario possa dimostrarsi più forte. Proprio in
Inghilterra, nella prestigiosa arena del tennis di Wimbledon, c'è una scritta
che dice: "Solo quando imparerai a domare allo stesso modo quelle due belve che
si chiamano vittoria e sconfitta , allora potrai dire di essere un campione".
Sarà così anche per Londra 2012. Ci saranno tante vittorie, ma anche tanti che
torneranno a casa con una sonora sconfitta. Ci piace ricordare oggi una delle
più belle sconfitte della storia delle Olimpiadi. Siamo a Città del Messico nel
1968. Jon Stephen Akwari è un atleta della Tanzania che partecipa alla
Maratona. Quando arriva al traguardo, il vincitore della gara se ne è già
andato da più di un'ora. Nello stadio sono rimasti solo pochi spettatori. A
metà gara un infortunio muscolare aveva ha reso difficile ad Akwari persino
camminare. Esausto, sofferente per i crampi, disidratato, con la gamba fasciata
con una benda sanguinante Jon Stephen ha voluto a tutti i costi portare a
termine la gara. Raggiunto il traguardo, subito un giornalista gli chiede
perché non si sia ritirato.
Akhwari sorpreso risponde: "Il mio Paese non mi ha mandato a ottomila
chilometri di distanza per iniziare una gara. Il mio Paese mi ha mandato qui
per finire la corsa. Io rappresento il mio Paese e non potevo certo tornare a
casa, dicendo che mi ero ritirato". È arrivato ultimo, ma indubbiamente Jon
Stephen a quelle Olimpiadi non ha perso. Il rischio delle grandi manifestazioni
sportive è quello di concentrare la propria attenzione solo su chi vince. È la
dura legge dell'economia e dello sport. Londra è l'unica città al mondo che
ospita l'Olimpiade per la terza volta. Il Console inglese a Milano, nel corso
di un convegno, ha spiegato che quella che sta per iniziare a fine luglio sarà
la prima Olimpiade "ecologica" e che questa scelta del governo britannico è
risultata vincente quando si è trattato di assegnare questa Olimpiade. A noi
piace immaginare che sarà anche un'Olimpiade "umana", capace di dare spazio, di
valorizzare, di "esaltare" le storie di umanità che possono essere modello ed
esempio per i giovani. A distanza di più di 40 anni la storia di Jon Stephen
Akhwari merita ancora di essere raccontata ai giovani. In un tempo in cui i
giovani vogliono "tutto, subito e possibilmente senza fatica", in un tempo in
cui il "successo" sembra diventare ragione di vita, l'esempio di questo anonimo
atleta della Tanzania è quanto mai di attualità. È bello dunque sognare che da
Londra arrivino sì tante medaglie, ma anche tante storie da raccontare.