Una proposta per i laureati in scienze motorie
Tutto questo avviene nella totale semi indifferenza e rassegnazione. Serve una “scossa”, un’occasione per tornare a ragionare sulla valorizzazione dei laureati in scienze motorie e una riflessione che affronti una domanda forse scomoda ma strategica: «Questi laureati possono essere una risorsa educativa per il Paese?».
In Italia ci sono circa 50 mila laureati in scienze
motorie. Solo una percentuale modesta lavora nella scuola e una piccolissima è
impegnata nello sport di prestazione. E gli altri? Tirano avanti tra sbocchi
professionali difficili da trovare, lavoro nero e fatica a guardare al futuro
con serenità e speranza.
Tutto questo avviene nella totale semi indifferenza e rassegnazione. Serve una
“scossa”, un’occasione per tornare a ragionare sulla valorizzazione dei
laureati in scienze motorie e una riflessione che affronti una domanda forse
scomoda ma strategica: «Questi laureati possono essere una risorsa educativa
per il Paese?». Di questi temi si è discusso in un convegno promosso dalla Cei,
attraverso l’impegno congiunto dell’ufficio sport e turismo, con monsignor
Lusek, dell’ufficio per i problemi sociali e il lavoro, con monsignor Casile,
dell’ufficio per l’educazione, la scuola e l’università, e con don Viviani.
Nell’occasione Csi e Us Acli hanno messo sul tavolo due proposte operative. La
prima chiede di mettere in contatto laureati in scienze motorie e società
sportive di base, per un motivo semplice e concreto. Oggi tutte le società
sportive serie mandano i loro dirigenti ed allenatori a frequentare corsi di
formazione. Resta però il problema irrisolvibile d’offrire una formazione
permanente che non si limiti alla frequentazione di un corso, ma che accompagni
dirigenti e allenatori per tutto l’anno. D’altra parte ci sono i laureati in
scienze motorie che spesso accettano lavori saltuari nelle piscine, nelle
palestre… per riuscire a racimolare una sorta di stipendio. Si tratta spesso
di lavori “anonimi”, senz’anima (pensate a chi fa l’assistente bagnante…),
che non permettono di crescere né umanamente né professionalmente. Ecco allora
l’idea: e se inventassimo una nuova “professione”?
Una società sportiva sarebbe disposta a pagare 200 o
300 euro al mese per avere una persona qualificata che, una volta alla
settimana, incontra i propri allenatori per fare il punto su come procede il
programma motorio dei ragazzi, ovviamente, presso la sede della società
sportiva. Se ogni “laureato in scienze motorie” svolgesse questo servizio in 5
società sportive (una presenza alla settimana in ciascuna) verrebbe fuori uno
stipendio dignitoso e un esperienza umana estremamente ricca e significativa.
Ovviamente questa proposta non sarebbe per tutti i laureati in scienze motorie,
ma solo per quelli che hanno un alto tasso di sensibilità educativa e che
condividono il progetto educativo di un ente o di una società sportiva. Facendo
i conti si scopre subito l’impatto della proposta. Il Csi ha 13mila società
sportive e, da solo, sarebbe in grado di offrire più di 2mila posti di lavoro.
Ovviamente questo ragionamento per affinarsi e rafforzarsi dovrebbe prevedere,
nel tempo, l’introduzione nei corsi Iusm di materie quali “lo sport per tutti”,
il “management nelle società sportive di base” ecc…, oggi incredibilmente
assenti da ogni percorso di studio di scienze motorie. Veniamo alla seconda
proposta.
Pensare che, oggi, chi esce dallo Iusm possa trovare facilmente lavoro nel mondo della scuola, significa alimentare le illusioni. Ecco, allora, che diventa fondamentale aiutare gli studenti a sviluppare competenze e mentalità rivolte a percorsi di impresa sociale. In pratica bisogna aiutare i laureati di domani a “crearsi” il lavoro dentro il mondo dello sport. Per ora l’importante è aprire cantieri di riflessione e di “nuove proposte”. Adesso bisognerà andare avanti su questa strada. Con coraggio e determinazione.