La follia di Lance Armstrong. Ma gli altri dove erano?
Possibile che per 7 giornate consecutive non si sia accorto di nulla? Ma che razza di controlli fanno?».
Immaginate
una situazione di questo tipo. Una squadra schiera un giocatore squalificato
per 7 giornate di fila e il Csi non si accorge di nulla. Il commento che
farebbe ciascuno di voi più o meno sarebbe questo: «Begli imbroglioni i
dirigenti di quella squadra, ma il Csi dove era?
Possibile che per 7 giornate consecutive non si sia accorto di nulla? Ma che
razza di controlli fanno?». E stiamo parlando di un campionato provinciale che
si basa completamente sul volontariato. Che cosa dovremmo dire se applicassimo
gli stessi criteri alla vicenda Armstrong? Sulla falsità del texano è stato
detto tutto e non vale la pena aggiungere nulla. Ma sugli altri? Come è
possibile che uno vinca per sette volte un Tour de France completamente dopato
e nessuno si accorga di nulla? Quelli che dovevano fare i controlli dove erano?
La famosa Wada (Agenzia mondiale per la lotta al doping) ha dormito? I
dirigenti della federazione mondiale e francese si erano “presi una vacanza?”.
Non vogliamo cercare altri colpevoli o sollevare polveroni. Vogliamo fare
ragionamenti seri e chiediamo assunzioni di responsabilità.
Armstrong non è semplicemente da condannare, come uomo e come atleta. Di fronte
a lui viene difficile persino provare qualsiasi minimo sentimento di
solidarietà per il dramma che sta vivendo. Armstrong non si è pentito. È stato
beccato alla grande. Altrimenti non avrebbe mai ammesso nulla. Non solo.
Nemmeno di fronte all’evidenza ha chiesto scusa, ma si è limitato a dire che su
100 ciclisti al Tour solo 4 o 5 non fanno uso sistematico di doping. E qui
viene il punto. Questa vicenda non si può liquidare con la “follia” di
Armstrong. Chi doveva fare i controlli? Perché non sono stati fatti? Chi doveva
vigilare?
Perché non lo ha fatto? Un’azione seria di etica e di giustizia prevederebbe
alcune cose. Le dimissioni in massa dei vertici della federazione mondiale e
delle agenzie mondiali di controllo sul doping. Ma di questo nessuna traccia.
La radiazione dalla professione dei medici che hanno ottenuto la “fabbrica del
doping” di Armstrong (forse siamo disinformati noi ma anche di questo nessuna
traccia). La citazione nel curriculum personale dei medici addetti ai controlli
come esperti di “miopia e cecità” visto che non sono mai riusciti a beccare il
texano in 7 anni (sono veramente tanti) di sistematico ricorso al doping.
Insomma, un caso come questo avrebbe imposto un’azione di coraggio paragonabile
a uno tsunami positivo nel mondo del ciclismo. Una sorta di “tutti a casa” e si
ricomincia.
Un’azione paragonabile, sul piano dell’impatto (non certo dei risultati) allo
scoppio del caso di mani pulite tanti anni fa nella società civile. Invece, si
ha la sensazione di assistere alla condanna (e ci mancherebbe) di Armstrong e
che poi finisca lì. Ultima cosa: per il risarcimento danni che facciamo? Mentre
Nike (sponsor di Armstrong) ha già fatto causa al texano, le centinaia di
migliaia di tifosi e spettatori che hanno assistito a 7 Tour pensando che fosse
un bello spettacolo sportivo cosa faranno? Da tempo sosteniamo l’introduzione
in casi come questi di una salata multa di “risarcimento etico” da destinare ad
un fondo che abbia come obiettivo il sostegno delle società sportive di base. Ci
dicono sempre che è utopia. Ma un giorno questa utopia diventerà realtà.