Il cappellano sportivo da centrale: un ruolo a tutto campo
In fatto di cappellani sportivi l’Inghilterra non scherza. Nello sport professionistico del Regno Unito ci sono 254 cappellani sportivi. Nel calcio di Premiere League solo sei squadre non hanno il cappellano, tutte le altre sono dotate di un consulente spirituale ufficiale. Per valorizzare questa figura è sceso in campo recentemente Alex Ferguson, che ha dichiarato: «È importante che i ragazzi abbiano qualcuno con cui parlare e confidarsi. Possono farlo con me, ma è sempre meglio che ci sia anche qualcuno di imparziale con cui magari vedere il calcio in modo più ridimensionato». Non si tratta di una questione di folclore, quanto di una seria questione di investimento educativo. Quando Papa Francesco parla di “uscire dalle chiese” e di andare tra la gente, nelle periferie, indubbiamente si riferisce alle periferie “fisiche” ma anche a quelle etiche e spirituali. Lo sport professionistico, con il suo business vertiginoso, con la sua dimensione di esasperazione del risultato e le altre distorsioni, è indubbiamente un terreno di frontiera per l’educazione e la testimonianza vissuta dei veri valori della vita. In un ambiente che spesso si presenta arido, la presenza di un prete può essere straordinariamente positiva per quei professionisti che, è bene ricordarlo, restano pur sempre giovani di 20 o 30 anni. Non serve il “ prete tifoso” o il prete “super appassionato”. Serve un prete capace di “lasciare il segno” nella vita delle persone agendo con discrezione, con attenzione, quasi in punta di piedi. In Italia quante squadre hanno il “ cappellano”? Laddove esiste che ruolo gioca? È espressione della diocesi di riferimento oppure è stato contattato e coinvolto solo per amicizia personale? E in casa nostra? La situazione è molto eterogenea. Il modello da seguire è quello delle Olimpiadi. L’Italia è una delle poche nazioni che ha inserito un cappellano nella delegazione ufficiale olimpica, dandogli così un ruolo “ufficiale e centrale”. La prima volta è accaduto alle Olimpiadi di Seul, nel 1988, con la partecipazione di mons. Carlo Mazza, cui è succeduto mons. Mario Lusek, direttore ufficio sport e turismo della Cei. Sarebbe bello veder “copiare” questo modello, sarebbe bello se ogni club avesse il suo “cappellano” sportivo, espressione della Chiesa locale e tramite con la Diocesi. Perché questo avvenga serve una nuova sensibilità del mondo dello sport, non solo professionistico, e del mondo della Chiesa. Un gruppo sportivo in ogni parrocchia è il più grande sogno del Csi per il decennio in corso. L’oratorio che ha un gruppo sportivo ha una marcia in più. Perché ciò accada occorre che il Parroco e il “don” credano fortemente nello sport come strumento educativo e pastorale, e che diano fiducia a allenatori e dirigenti facendogli sentire di avere la stessa dignità educativa dei catechisti o del responsabile del gruppo giovani. Insomma sogniamo uno sport in parrocchia sempre più riscoperto, diffuso, valorizzato in modo che rappresenti una parte fondamentale del sistema sportivo ed educativo del nostro paese. Sogniamo anche una presenza della Chiesa nello sport a “tutto campo”, dall’oratorio ai professionisti.