Sulla scia di San Paolo la corsa della fede
Effettivamente il gioco nel senso più ampio e creativo del termine appartiene all’essenza stessa dell’umanità, tant’è vero che si è persino coniata la definizione di homo ludens: l’uomo gioca e, così, crea e libera le sue potenzialità fisiche e interiori. È proprio su questa base di gratuità, libertà, creatività che si può stabilire una sorta di fraternità dello sport con la fede, espressione totale della persona che va oltre l’interesse materiale e la superficie della realtà in una danza dell’anima e del corpo verso l’alto e il divino.
«Lo sport è il vero esperanto dei popoli», scriveva
Jean Giraudoux, un autore francese del secolo scorso.
Effettivamente il gioco nel senso più ampio e creativo del
termine appartiene all’essenza stessa dell’umanità, tant’è vero che si è
persino coniata la definizione di homo ludens: l’uomo gioca e, così, crea e
libera le sue potenzialità fisiche e interiori. È proprio su questa base di
gratuità, libertà, creatività che si può stabilire una sorta di fraternità
dello sport con la fede, espressione totale della persona che va oltre
l’interesse materiale e la superficie della realtà in una danza dell’anima e
del corpo verso l’alto e il divino. È in questa luce che nella Bibbia a più
riprese la metafora del gioco è divenuta una via persino per rappresentare Dio
stesso: nel libro dei Proverbi la Sapienza divina creatrice è raffigurata come
una fanciulla che «gioca in ogni istante, gioca sul globo terrestre ponendo la
sua felicità tra i figli dell’uomo» (8,30-31). San Paolo, invece, a più riprese
applica l’immagine della corsa nello stadio alla vita del cristiano, proteso
verso la meta suprema dell’incontro con Dio, in attesa di ricevere una corona
che non marcisce come quelle d’alloro che si assegnavano allora agli atleti:
«Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono ma uno solo conquista
il premio?
Correte anche voi in modo da conquistarlo! Per questo ogni
atleta è disciplinato in tutto ed essi lo fanno per ottenere una corona che
appassisce, noi invece una che dura per sempre» (1Corinzi 9,24-25).
Purtroppo sappiamo che - come in ogni atto umano - in agguato
c’è sempre la degenerazione. La libertà del corpo si trasforma in schiavitù del
doping; la gratuità dell’esercizio è condizionata commercialmente; la festa
dello spettacolo è turbata dal tifo violento; la fantasia creativa lascia
spazio al calcolo e alla prevaricazione. Per questo il Pontificio Consiglio
della Cultura e il Centro Sportivo Italiano, attraverso la staffetta che giunge
fino alle soglie della Basilica di San Pietro e davanti a papa Francesco, hanno
voluto riportare al suo valore fondante questa alta e nobile attività
ricorrendo all’atto simbolico della “corsa della fede”, sulla scia del
testamento di San Paolo: «Ho terminato la corsa, ho conservato la fede»
(2Timoteo 4,7).
Gianfranco Ravasi presidente – Pontificio Consiglio della Cultura