Genitori a bordo campo, una presenza che manca di equilibrio
Questa ci mancava. La notizia:
due genitori picchiano il compagno di squadra di loro figlio perché non gli
passava la palla. Non è un’invenzione, ma incredibile realtà. È accaduto in
Puglia nello scorso mese di agosto. Due genitori (lui 63 anni, lei 50) sono in
vacanza con loro figlio. Tra mare e divertimento spunta un bel torneo per
ragazzi dagli 8 ai 14 anni. Detto fatto, iscrivono il loro bambino. Una delle
prime partite è senza storia: troppo forti gli avversari, che vincono
facilmente. Finita la partita, mentre i ragazzi rientrano negli spogliatoi, i
due genitori “ultras” si avventano su un compagno di squadra del figlio, reo -
a loro dire - di non aver passato la palla e di aver fatto perdere la sua
squadra. Lo insultano, lo strattonano e gli rifilano anche un bel ceffone. Si
scatena il putiferio. Interviene il genitore del ragazzo aggredito e ne nasce
una rissa senza confini, terminata grazie all’intervento di un poliziotto in
borghese. Se eravamo in agosto, come mai se ne parla solo adesso? Semplice.
Perché in questi giorni la rissa è approdata in un’aula di tribunale e da li è
rimbalzata nelle cronache. “Fresco” o no, l’episodio si commenta da solo e
aggiungere parole è del tutto inutile. Il problema è nell’antefatto. Meno
appariscente e rumoroso delle curve degli ultras, il fenomeno dei genitori a
bordo campo è una questione che riguarda e investe ogni società sportiva che ha
un settore giovanile. Lungi da noi la tentazione di fare di tutta l’erba un
fascio. Ci sono centinaia di genitori e di famiglie che seguono le partite dei
loro figli in tutta serenità e che, magari, danno anche una grossa mano alla
società sportiva. Occorre, però, dire che gli episodi di esasperazione e di
“imbecillità” che hanno per protagonisti mamme e papà dei piccoli atleti non
sono in calo, anzi, sono in costante aumento. Come mai? Cosa si può fare per
contrastare il fenomeno? Sono domande complesse, alle quali abbiamo provato più
volte a dare risposte e soluzioni.
Investire nella cultura sportiva è l’unica strada possibile
per cambiare le cose. Tutti sono d’accordo a parole, ma pochissimi sono
disposti a farlo davvero. Detto questo nessuno ha la ricetta magica. Il Csi ha
recentemente pubblicato un libro (“Genitori a bordo campo”) che contiene
istruzioni per l’uso e che consigliamo di leggere a ogni genitore. Abbiamo
potenziato gli interventi formativi in tutta Italia sul tema della
genitorialità.
Abbiamo più volte sottolineato che un dialogo aperto,
costruttivo, sincero con le famiglie va tentato e perseguito da ogni società
sportiva. Di storie e fatti di cronaca che hanno visto protagonisti in negativo
i genitori, purtroppo, ne esistono tanti. Certo, quanto è accaduto questa
estate in Puglia merita una candidatura all’“Oscar dell’imbecillità”. Ma
genitori protagonisti in negativo non sono solo quelli come il nostro “Premio
Oscar”. Protagonista in negativo è anche il genitore disinteressato, quello che
non si fa vedere mai, che non ha un volto e un nome, che non c’è alla partita e
agli allenamenti, e che manda suo figlio a casa con l’autobus o con un
passaggio concesso dai compagni. Un genitore che non fa danni durante le
partite insultando e aggredendo arbitri e avversari, ma che fa male ugualmente,
al proprio figlio, creando vuoti di affetto e di amore nella sua vita.