Ibrahimovic e quell’autogol da “cartellino nero”
Se fosse pubblicata una classifica di
“campioni nella vita” Zlatan Ibrahimovic sarebbe
probabilmente ultimo in classifica. A regalargli questo triste primato è quanto
combinato nelle scorse settimane. Hajrudin Kamenjas è un bimbo di otto anni che
abita in Bosnia e che è stato colpito da una forma di leucemia che non gli
lascerà troppe speranze di vita. Il sogno della sua vita è incontrare il suo
campione preferito, Ibrahimovic. All’inizio il tutto prende una bella piega.
Zlatan, venuto a sapere della storia del piccolo, gli manda un video di pochi
minuti e una maglietta autografata. Hajrudin è un bimbo testardo e non si
accontenta.
Vuole incontrare il suo campione e sa che, a causa della malattia, ha poco tempo
per farlo. Così la sua famiglia contatta il Paris Saint Germain e riesce a
strappare un incontro tra questo sfortunato bimbo e il suo campione.
Hajrudin vola a Parigi toccando il cielo con un dito. Ma arrivato sotto la
Torre Eiffel, il sogno diventa un incubo. L’incontro con Zlatan slitta ora dopo
ora per ben tre giorni di fila e così il “povero bimbo” torna in Bosnia
demoralizzato e distrutto senza aver mai incontrato il suo mito.
Ora, è pur vero che Ibra non è mai stato un “modello” quanto a disponibilità
comunicativa, sensibilità educativa e dintorni.
Ma da ciò a non trovare 5 minuti in 3 giorni per incontrare un bimbo malato
venuto apposta dalla Bosnia (d’accordo con la società sportiva) di strada ce ne
passa. E molta. Insomma, è stato un comportamento da “cartellino nero” per
Zlatan, che d’ora in poi potrà anche segnare altre vagonate di gol, ma che un
campione vero non si è dimostrato e che non potrà più pretendere di esserlo.
Un caso così, finisce subito nelle cronache dei giornali sportivi di mezza
Europa. E il caso contrario? Come sappiamo noi crediamo molto in una vera
alleanza educativa tra campioni e ragazzi.
In questi anni decine e decine di campioni (basti pensare alla Junior Tim Cup)
si sono resi disponibili a “stare” insieme ai ragazzi e l’hanno fatto con
convinzione ed entusiasmo. Il problema è che queste iniziative (preziosissime)
non fanno notizia e se ne parla sempre troppo poco.
Perché i campioni devono sentire la responsabilità di essere dei modelli
positivi per i giovani. E quando lo fanno e lo fanno bene, farlo sapere è
importante. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Eccone uno per tutti:
terminato l’impegno con la Nazionale e affrontata in amichevole la Germania,
mister Prandelli farà un salto ad allenare i ragazzi del suo Oratorio di
Orzinuovi nel bresciano. Fantasia? Follia? No, no. Semplicemente testimonianza
di un vero campione nella vita. La differenza tra lo sportivo tecnicamente di
qualità e il campione che tocca il cuore della gente sta in queste cose. Capito
Zlatan?