Ma quale lusso, il gioco è prima un diritto
Ieri ricorreva la Giornata
internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, così come si fa
ogni anno da quando, il 20 novembre 1989, la Convenzione internazionale sui
diritti dell’infanzia venne approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite a New York. Quest’anno nel nostro Paese la data è stata ricordata con un
centinaio di lodevoli iniziative organizzate da gruppi, enti, associazioni.
Molta attenzione è stata posta, giustamente, alla nuova realtà dei minori figli
di immigrati, alla dovuta parità dei diritti di cittadinanza tra ragazzi di
origine straniera e figli di “italiani da sempre”. Una realtà che richiama
immediatamente i concetti di “integrazione” e “coesione”, che in molti indicano
come gli indici da cui dipenderanno tra 10 o 20 anni il nostro benessere e la
pace sociale. Lo sport ci sta lavorando, portando nei campi e negli spogliatoi
squadre dove non si distinguono etnie, culture, fedi religiose. Eppure qualcosa
non quadra. Tra i diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza, la
Convenzione di New York pone il diritto al gioco e alle attività sportive e
ricreative (articolo 31), affermandone la non secondarietà rispetto agli altri
diritti. In troppi, invece, anche tra le istituzioni e gli uomini di cultura
continuano a considerare gioco e sport un di più nella vita dei minori, se non
un “lusso”: qualcosa che se c’è va bene, e se non c’è pazienza. Quali ne siano
le conseguenze è chiarito puntualmente nei rapporti che periodicamente vengono
stilati sullo stato di applicazione della Convenzione in Italia: il diritto al
gioco e allo sport è poco garantito, per una carenza culturale che accomuna
rappresentanti delle istituzioni, insegnanti e genitori. Sarebbe bello, oltre
che utile, che il prossimo 20 novembre fosse celebrato, oltre che con le usuali
iniziative, con occasioni ad hoc per ricordare a membri di tali categorie la
bellezza e l’importanza del gioco, chiamandoli a riassaggiare in prima persona
una felice ludicità.
Non è stato forse il Papa emerito, Joseph Ratzinger, a
scrivere che gioco e sport consentono di sperimentare una gioia che è «una
sorta di tentato ritorno al paradiso», che c’è un aspetto positivo che è alla
base del gioco: «l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in
direzione del paradiso perduto»? Quando parliamo di uno sport capace di educare
alla vita, sappiamo bene ciò che stiamo dicendo.