27 febbraio 2014
Il valore sociale dello sport: una promessa in cui credere
Lo scomparso Nelson Mandela sosteneva che “lo sport può cambiare il mondo”. Non era l’unico a pensarla così: l’idea che lo sport possa e debba contribuire allo sviluppo della società si è fatta largo ed è sempre più diffusa ed è condivisa da grandi organismi internazionali.
Ad esempio, il famoso “Libro bianco dello sport europeo” (2007) scommette sullo sport per promuovere educazione e salute, democrazia e partecipazione, formazione e istruzione, integrazione e coesione sociale, rispetto delle minoranze, rigetto di violenza, razzismo, xenofobia e tante altre belle e utilissime cose. Non tutti, però, sono d’accordo e obiettano trattarsi di belle teorie prive di riscontro, e che in realtà lo sport non è in grado di mantenere le sue molteplici promesse sociali. Chi ha ragione? Bene, agli scettici si possono contrapporre oggi i risultati di alcune ricerche che hanno indagato sulla questione. Snoccioliamo un po’ di dati. Si è dimostrato che l’attività fisica e sportiva, unitamente a un’alimentazione corretta, abbassa in maniera significativa l’incidenza dell’obesità, delle malattie cardiovascolari, di ictus, cancro al seno, cancro al colon, diabete tipo II.
Ad esempio, il famoso “Libro bianco dello sport europeo” (2007) scommette sullo sport per promuovere educazione e salute, democrazia e partecipazione, formazione e istruzione, integrazione e coesione sociale, rispetto delle minoranze, rigetto di violenza, razzismo, xenofobia e tante altre belle e utilissime cose. Non tutti, però, sono d’accordo e obiettano trattarsi di belle teorie prive di riscontro, e che in realtà lo sport non è in grado di mantenere le sue molteplici promesse sociali. Chi ha ragione? Bene, agli scettici si possono contrapporre oggi i risultati di alcune ricerche che hanno indagato sulla questione. Snoccioliamo un po’ di dati. Si è dimostrato che l’attività fisica e sportiva, unitamente a un’alimentazione corretta, abbassa in maniera significativa l’incidenza dell’obesità, delle malattie cardiovascolari, di ictus, cancro al seno, cancro al colon, diabete tipo II.
Lo scomparso Nelson Mandela sosteneva che
“lo sport può cambiare il mondo”. Non era l’unico a pensarla così:
l’idea che lo sport possa e debba contribuire allo sviluppo della
società si è fatta largo ed è sempre più diffusa ed è condivisa da
grandi organismi internazionali.
Ad esempio, il famoso “Libro bianco dello sport europeo” (2007) scommette sullo sport per promuovere educazione e salute, democrazia e partecipazione, formazione e istruzione, integrazione e coesione sociale, rispetto delle minoranze, rigetto di violenza, razzismo, xenofobia e tante altre belle e utilissime cose. Non tutti, però, sono d’accordo e obiettano trattarsi di belle teorie prive di riscontro, e che in realtà lo sport non è in grado di mantenere le sue molteplici promesse sociali. Chi ha ragione? Bene, agli scettici si possono contrapporre oggi i risultati di alcune ricerche che hanno indagato sulla questione. Snoccioliamo un po’ di dati. Si è dimostrato che l’attività fisica e sportiva, unitamente a un’alimentazione corretta, abbassa in maniera significativa l’incidenza dell’obesità, delle malattie cardiovascolari, di ictus, cancro al seno, cancro al colon, diabete tipo II.
Non solo si allunga l’attesa di vita, ma si taglia la spesa sanitaria (3,7% in Canada, il 5% in Usa…). Il movimento “True Sport” ha rilevato che il settore sportivo canadese vale l’1,2% del Pil, e assicura il 2% dei posti di lavoro. Tra i lavoratori dipendenti l’attività sportiva riduce l’assenteismo, consentendo un risparmio per le buste paga dell’1,1% annuo. E ancora, si è constatato che le abilità apprese e mantenute con l’esperienza sportiva incidono positivamente sul rendimento dei lavoratori, migliorandone la produttività, fruttando un beneficio di circa l’1% del costo del lavoro. Altre valutazioni sperimentali evidenziano che l’attività fisico-sportiva riduce l’incidenza di disordini mentali derivanti da ansia e depressione. La ragazze sportive conseguono la laurea più delle sedentarie, hanno maggiore autostima, mantengono migliori rapporti familiari, sono meno soggette a gravidanze precoci. Rispetto ai sedentari, i giovani impegnati nello sport delinquono meno, aderiscono più difficilmente alle gang, sono meno inclini all’abuso di sostanze proibite, mostrano minori comportamenti antisociali. Una ricerca effettuata in Gran Bretagna sulla relazione tra partecipazione sportiva e costruzione del capitale sociale ha dimostrato come le due cose siano effettivamente connesse. La pratica sportiva produce fiducia sociale, impegno civile, visione costruttiva dell’impatto dell’immigrazione sulla vita sociale.
Un’altra ricerca condotta nelle comunità rurali dell’Australia ha evidenziato l’effettivo impatto positivo dello sport sulla coesione sociale. I dati dimostrano, dunque, che lo sport possiede realmente un potenziale unico quanto a benefici sociali, un potenziale che si concretizza in modo proporzionale alla qualità dell’esperienza sportiva, quando lo sport è promosso in modo da essere inclusivo, bello, divertente e adotta una genuina eccellenza organizzativa e tecnica. Sono conclusioni che possono meravigliare molti, non il Centro Sportivo Italiano che queste idee le sostiene e le attua da quasi 70 anni.
Ad esempio, il famoso “Libro bianco dello sport europeo” (2007) scommette sullo sport per promuovere educazione e salute, democrazia e partecipazione, formazione e istruzione, integrazione e coesione sociale, rispetto delle minoranze, rigetto di violenza, razzismo, xenofobia e tante altre belle e utilissime cose. Non tutti, però, sono d’accordo e obiettano trattarsi di belle teorie prive di riscontro, e che in realtà lo sport non è in grado di mantenere le sue molteplici promesse sociali. Chi ha ragione? Bene, agli scettici si possono contrapporre oggi i risultati di alcune ricerche che hanno indagato sulla questione. Snoccioliamo un po’ di dati. Si è dimostrato che l’attività fisica e sportiva, unitamente a un’alimentazione corretta, abbassa in maniera significativa l’incidenza dell’obesità, delle malattie cardiovascolari, di ictus, cancro al seno, cancro al colon, diabete tipo II.
Non solo si allunga l’attesa di vita, ma si taglia la spesa sanitaria (3,7% in Canada, il 5% in Usa…). Il movimento “True Sport” ha rilevato che il settore sportivo canadese vale l’1,2% del Pil, e assicura il 2% dei posti di lavoro. Tra i lavoratori dipendenti l’attività sportiva riduce l’assenteismo, consentendo un risparmio per le buste paga dell’1,1% annuo. E ancora, si è constatato che le abilità apprese e mantenute con l’esperienza sportiva incidono positivamente sul rendimento dei lavoratori, migliorandone la produttività, fruttando un beneficio di circa l’1% del costo del lavoro. Altre valutazioni sperimentali evidenziano che l’attività fisico-sportiva riduce l’incidenza di disordini mentali derivanti da ansia e depressione. La ragazze sportive conseguono la laurea più delle sedentarie, hanno maggiore autostima, mantengono migliori rapporti familiari, sono meno soggette a gravidanze precoci. Rispetto ai sedentari, i giovani impegnati nello sport delinquono meno, aderiscono più difficilmente alle gang, sono meno inclini all’abuso di sostanze proibite, mostrano minori comportamenti antisociali. Una ricerca effettuata in Gran Bretagna sulla relazione tra partecipazione sportiva e costruzione del capitale sociale ha dimostrato come le due cose siano effettivamente connesse. La pratica sportiva produce fiducia sociale, impegno civile, visione costruttiva dell’impatto dell’immigrazione sulla vita sociale.
Un’altra ricerca condotta nelle comunità rurali dell’Australia ha evidenziato l’effettivo impatto positivo dello sport sulla coesione sociale. I dati dimostrano, dunque, che lo sport possiede realmente un potenziale unico quanto a benefici sociali, un potenziale che si concretizza in modo proporzionale alla qualità dell’esperienza sportiva, quando lo sport è promosso in modo da essere inclusivo, bello, divertente e adotta una genuina eccellenza organizzativa e tecnica. Sono conclusioni che possono meravigliare molti, non il Centro Sportivo Italiano che queste idee le sostiene e le attua da quasi 70 anni.