26 giugno 2014
Dopo Prandelli e Balotelli: la ricetta delle “spezie” educative
La Nazionale è tornata a casa prematuramente da Natal. Nelle ore successive alla partita con l’Uruguay si è detto e scritto di tutto.
Proviamo ad aggiungere qualche considerazione, allargando lo sguardo e ragionando dal nostro punto di vista. Una nota positiva che merita di essere evidenziata è l’atteggiamento di uomini veri come Prandelli e Abete. In un Paese in cui tutti scaricano le responsabilità sugli altri, alla fine della partita con l’Uruguay presidente federale e ct, in conferenza stampa, hanno annunciato le dimissioni, assumendosi pubblicamente le responsabilità (anche quelle non loro) del fallimento azzurro. Non siamo sorpresi. Prandelli ed Abete abbiamo imparato a conoscerli in questi anni come uomini veri. Probabilmente era giusto che si dimettessero e non vogliamo entrare nel merito. Vogliamo, però, fargli sentire pubblicamente la nostra stima e gratitudine per quello che hanno sempre testimoniato come uomini e come sportivi. Ora nella Figc si aprirà un nuovo ciclo e tutto ruoterà intorno ad una domanda: «Quale la ricetta per riportare il calcio italiano ad essere protagonista?». È evidente che c’è un conflitto di interesse: vogliamo un campionato con quasi tutti giocatori stranieri e poi pensiamo di fare bene agli Europei e ai Mondiali.
Proviamo ad aggiungere qualche considerazione, allargando lo sguardo e ragionando dal nostro punto di vista. Una nota positiva che merita di essere evidenziata è l’atteggiamento di uomini veri come Prandelli e Abete. In un Paese in cui tutti scaricano le responsabilità sugli altri, alla fine della partita con l’Uruguay presidente federale e ct, in conferenza stampa, hanno annunciato le dimissioni, assumendosi pubblicamente le responsabilità (anche quelle non loro) del fallimento azzurro. Non siamo sorpresi. Prandelli ed Abete abbiamo imparato a conoscerli in questi anni come uomini veri. Probabilmente era giusto che si dimettessero e non vogliamo entrare nel merito. Vogliamo, però, fargli sentire pubblicamente la nostra stima e gratitudine per quello che hanno sempre testimoniato come uomini e come sportivi. Ora nella Figc si aprirà un nuovo ciclo e tutto ruoterà intorno ad una domanda: «Quale la ricetta per riportare il calcio italiano ad essere protagonista?». È evidente che c’è un conflitto di interesse: vogliamo un campionato con quasi tutti giocatori stranieri e poi pensiamo di fare bene agli Europei e ai Mondiali.
La Nazionale è tornata a casa prematuramente da
Natal. Nelle ore successive alla partita con l’Uruguay si è detto e
scritto di tutto.
Proviamo ad aggiungere qualche considerazione, allargando lo sguardo e ragionando dal nostro punto di vista. Una nota positiva che merita di essere evidenziata è l’atteggiamento di uomini veri come Prandelli e Abete. In un Paese in cui tutti scaricano le responsabilità sugli altri, alla fine della partita con l’Uruguay presidente federale e ct, in conferenza stampa, hanno annunciato le dimissioni, assumendosi pubblicamente le responsabilità (anche quelle non loro) del fallimento azzurro. Non siamo sorpresi. Prandelli ed Abete abbiamo imparato a conoscerli in questi anni come uomini veri. Probabilmente era giusto che si dimettessero e non vogliamo entrare nel merito. Vogliamo, però, fargli sentire pubblicamente la nostra stima e gratitudine per quello che hanno sempre testimoniato come uomini e come sportivi. Ora nella Figc si aprirà un nuovo ciclo e tutto ruoterà intorno ad una domanda: «Quale la ricetta per riportare il calcio italiano ad essere protagonista?». È evidente che c’è un conflitto di interesse: vogliamo un campionato con quasi tutti giocatori stranieri e poi pensiamo di fare bene agli Europei e ai Mondiali.
Ciò fa bene alle loro Nazionali, non alla nostra. La dimostrazione arriva dal Mondiale brasiliano, con le eliminazioni di Inghilterra, Spagna, Italia e la qualificazione di Nazionali “piccole”. Bisogna tornare a investire sui settori giovanili e sulle società sportive di base. La filiera che garantisce risultati a lungo termine è questa. Il difficile è applicare il concetto in un mondo governato dal business, che vuole i risultati subito e senza logiche di investimento strategico. Ora si dibatterà sulle candidature alla successione di Abete e Prandelli. Ma per cambiare davvero serve un progetto ampio e coraggioso.
Liberare il calcio dai propri mali, tornare a giocare in stadi gioiosi e pieni di famiglie, formare i giocatori come uomini veri, valorizzare la responsabilità sociale e le potenzialità educative del sistema non sono componenti inutili in un progetto che voglia rifare grande il calcio italiano. Al contrario, sono “spezie” indispensabili per questa ricetta. Due ultime riflessioni. Durante la partita con l’Uruguay l’Italia si è privata di parte del suo potenziale per una questione educativa. Prandelli lo ha ammesso.
«Ho tolto Balotelli perché non si sa mai sino in fondo se è tranquillo o no, e avevo paura che venisse espulso».
Allenare l’uomo che c’è dentro un atleta è altrettanto importante che allenare i suoi muscoli. Balotelli rappresenta l’emblema del giocatore “viziato” e ingovernabile, con potenzialità tecniche mostruose ma immaturo nella vita. Bisogna che il sistema calcio comprenda sino in fondo l’importanza di creare giocatori con la testa sulle spalle, investendo seriamente in percorsi formativi veri sin dalle giovanili e non avendo paura di osare in questa direzione anche con i giocatori della prima squadra. In proposito abbiamo idee e proposte.
Proviamo ad aggiungere qualche considerazione, allargando lo sguardo e ragionando dal nostro punto di vista. Una nota positiva che merita di essere evidenziata è l’atteggiamento di uomini veri come Prandelli e Abete. In un Paese in cui tutti scaricano le responsabilità sugli altri, alla fine della partita con l’Uruguay presidente federale e ct, in conferenza stampa, hanno annunciato le dimissioni, assumendosi pubblicamente le responsabilità (anche quelle non loro) del fallimento azzurro. Non siamo sorpresi. Prandelli ed Abete abbiamo imparato a conoscerli in questi anni come uomini veri. Probabilmente era giusto che si dimettessero e non vogliamo entrare nel merito. Vogliamo, però, fargli sentire pubblicamente la nostra stima e gratitudine per quello che hanno sempre testimoniato come uomini e come sportivi. Ora nella Figc si aprirà un nuovo ciclo e tutto ruoterà intorno ad una domanda: «Quale la ricetta per riportare il calcio italiano ad essere protagonista?». È evidente che c’è un conflitto di interesse: vogliamo un campionato con quasi tutti giocatori stranieri e poi pensiamo di fare bene agli Europei e ai Mondiali.
Ciò fa bene alle loro Nazionali, non alla nostra. La dimostrazione arriva dal Mondiale brasiliano, con le eliminazioni di Inghilterra, Spagna, Italia e la qualificazione di Nazionali “piccole”. Bisogna tornare a investire sui settori giovanili e sulle società sportive di base. La filiera che garantisce risultati a lungo termine è questa. Il difficile è applicare il concetto in un mondo governato dal business, che vuole i risultati subito e senza logiche di investimento strategico. Ora si dibatterà sulle candidature alla successione di Abete e Prandelli. Ma per cambiare davvero serve un progetto ampio e coraggioso.
Liberare il calcio dai propri mali, tornare a giocare in stadi gioiosi e pieni di famiglie, formare i giocatori come uomini veri, valorizzare la responsabilità sociale e le potenzialità educative del sistema non sono componenti inutili in un progetto che voglia rifare grande il calcio italiano. Al contrario, sono “spezie” indispensabili per questa ricetta. Due ultime riflessioni. Durante la partita con l’Uruguay l’Italia si è privata di parte del suo potenziale per una questione educativa. Prandelli lo ha ammesso.
«Ho tolto Balotelli perché non si sa mai sino in fondo se è tranquillo o no, e avevo paura che venisse espulso».
Allenare l’uomo che c’è dentro un atleta è altrettanto importante che allenare i suoi muscoli. Balotelli rappresenta l’emblema del giocatore “viziato” e ingovernabile, con potenzialità tecniche mostruose ma immaturo nella vita. Bisogna che il sistema calcio comprenda sino in fondo l’importanza di creare giocatori con la testa sulle spalle, investendo seriamente in percorsi formativi veri sin dalle giovanili e non avendo paura di osare in questa direzione anche con i giocatori della prima squadra. In proposito abbiamo idee e proposte.