4 settembre 2014
Cari genitori, restituite il borsone sportivo ai vostri ragazzi
Avete presente quelle scene di vita quotidiana che si vedono fuori da una piscina, una palestra, o un campo di calcio, quando dalla macchina scendono un genitore (mamma o papà cambia poco) ed il bambino per andare all’allenamento? Si apre il portabagagli e il genitore si carica sulle spalle il borsone accompagnando il proprio figlio.
Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, intervenendo al convegno “Lo sport è per l’uomo. Dalla cultura del risultato alla cultura dell’incontro”, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura, ha fatto una provocazione interessante. «Io – ha detto – ho quattro fratelli. Mia mamma e mio papà non hanno mai avuto il tempo di seguirci tutti quando andavamo a fare sport. La borsa me la sono sempre portata da solo, anche quando ero piccolo. Le scarpe da gioco a casa le ho sempre lavate con cura perché nessuno l’avrebbe fatto per me.
Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, intervenendo al convegno “Lo sport è per l’uomo. Dalla cultura del risultato alla cultura dell’incontro”, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura, ha fatto una provocazione interessante. «Io – ha detto – ho quattro fratelli. Mia mamma e mio papà non hanno mai avuto il tempo di seguirci tutti quando andavamo a fare sport. La borsa me la sono sempre portata da solo, anche quando ero piccolo. Le scarpe da gioco a casa le ho sempre lavate con cura perché nessuno l’avrebbe fatto per me.
Avete presente quelle scene di vita quotidiana che si vedono fuori da una piscina, una palestra, o un campo di calcio, quando dalla macchina scendono un genitore (mamma o papà cambia poco) ed il bambino per andare all’allenamento? Si apre il portabagagli e il genitore si carica sulle spalle il borsone accompagnando il proprio figlio.
Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, intervenendo al convegno “Lo sport è per l’uomo. Dalla cultura del risultato alla cultura dell’incontro”, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura, ha fatto una provocazione interessante. «Io – ha detto – ho quattro fratelli. Mia mamma e mio papà non hanno mai avuto il tempo di seguirci tutti quando andavamo a fare sport. La borsa me la sono sempre portata da solo, anche quando ero piccolo. Le scarpe da gioco a casa le ho sempre lavate con cura perché nessuno l’avrebbe fatto per me. Mi piacerebbe vedere genitori che restituiscono il borsone sulle spalle dei loro ragazzi… Simbolicamente è come restituire a loro lo sport”. Il ragionamento è bello e interessante. I bambini oggi non hanno bisogno di “genitori manager” che scelgono la società sportiva in base alla logica dell’illusione di fare del loro figlio un campione. I bambini non hanno bisogno di scarpe alla moda, di magliette marchiate con loghi famosi, di accompagnatori che gli portano la borsa. Hanno bisogno di altre cose. Hanno bisogno di giocare, di sorridere, di sentire la fiducia, di sentirsi accolti e importanti quando sono bravi ma anche quando sono meno bravi.
Restituire lo sport ai ragazzi è una delle grandi sfide di oggi. Uno sport che non illuda sulla possibilità di diventare campioni, ma che garantisca di divertirsi e di vivere i valori della vita. Uno sport che non sia cultura dello “scarto” (quando trovo uno più bravo, tu sei fuori) ma sia cultura dell’incontro. Uno sport che sia davvero al servizio dell’uomo e non pretenda, invece, che l’uomo sia pensato per lo sport. Uno sport, anche, che sappia di non bastare a stesso. Papa Francesco ci ha chiesto di giocare in attacco. Noi vorremmo che a farlo fosse tutto il mondo dello sport. Un giocare in attacco che abbia per obiettivo riuscire a far prendere sul serio sino in fondo lo sport come strumento straordinario di educazione alla vita. Un giocare in attacco che diventi un giocare a tutto campo tra le fatiche, le miserie e le periferie della società di oggi per testimoniare i valori della vita. Un giocare in attacco che diventi non avere paura di promuovere un nuovo umanesimo nello sport.
Papa Francesco ci ha insegnato che sono i gesti semplici a fare la differenza. Ecco allora che, simbolicamente, ci piace immaginare genitori che, scendendo dalla macchina, carichino sulla spalla del loro figlio il borsone dicendo con un sorriso: «Ecco tieni la tua borsa… Lo sport é tuo… Vivilo con serenità ed io sarò felice se ti vedrò sorridere».
Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, intervenendo al convegno “Lo sport è per l’uomo. Dalla cultura del risultato alla cultura dell’incontro”, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura, ha fatto una provocazione interessante. «Io – ha detto – ho quattro fratelli. Mia mamma e mio papà non hanno mai avuto il tempo di seguirci tutti quando andavamo a fare sport. La borsa me la sono sempre portata da solo, anche quando ero piccolo. Le scarpe da gioco a casa le ho sempre lavate con cura perché nessuno l’avrebbe fatto per me. Mi piacerebbe vedere genitori che restituiscono il borsone sulle spalle dei loro ragazzi… Simbolicamente è come restituire a loro lo sport”. Il ragionamento è bello e interessante. I bambini oggi non hanno bisogno di “genitori manager” che scelgono la società sportiva in base alla logica dell’illusione di fare del loro figlio un campione. I bambini non hanno bisogno di scarpe alla moda, di magliette marchiate con loghi famosi, di accompagnatori che gli portano la borsa. Hanno bisogno di altre cose. Hanno bisogno di giocare, di sorridere, di sentire la fiducia, di sentirsi accolti e importanti quando sono bravi ma anche quando sono meno bravi.
Restituire lo sport ai ragazzi è una delle grandi sfide di oggi. Uno sport che non illuda sulla possibilità di diventare campioni, ma che garantisca di divertirsi e di vivere i valori della vita. Uno sport che non sia cultura dello “scarto” (quando trovo uno più bravo, tu sei fuori) ma sia cultura dell’incontro. Uno sport che sia davvero al servizio dell’uomo e non pretenda, invece, che l’uomo sia pensato per lo sport. Uno sport, anche, che sappia di non bastare a stesso. Papa Francesco ci ha chiesto di giocare in attacco. Noi vorremmo che a farlo fosse tutto il mondo dello sport. Un giocare in attacco che abbia per obiettivo riuscire a far prendere sul serio sino in fondo lo sport come strumento straordinario di educazione alla vita. Un giocare in attacco che diventi un giocare a tutto campo tra le fatiche, le miserie e le periferie della società di oggi per testimoniare i valori della vita. Un giocare in attacco che diventi non avere paura di promuovere un nuovo umanesimo nello sport.
Papa Francesco ci ha insegnato che sono i gesti semplici a fare la differenza. Ecco allora che, simbolicamente, ci piace immaginare genitori che, scendendo dalla macchina, carichino sulla spalla del loro figlio il borsone dicendo con un sorriso: «Ecco tieni la tua borsa… Lo sport é tuo… Vivilo con serenità ed io sarò felice se ti vedrò sorridere».