2 ottobre 2014

Dove c'é famiglia, c'é casa

Proprio ora, che per volontà di papa Francesco, la Chiesa si ferma a riflettere su “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, credo possa essere una bella occasione anche per le nostre società sportive ripensare al ruolo che i genitori hanno nei confronti dell’attività sportiva dei loro figli.

«Il problema è uno solo: i genitori». Questa espressione fa parte sempre del repertorio degli interventi ogni volta che termino un incontro con gli allenatori o i dirigenti di qualche società sportiva.

Anche se si è parlato di tutt’altro, magari della qualità educativa dell’allenatore. Non manca mai neppure la famosa espressione: «Mi piacerebbe allenare una squadra di orfani». Come se l’esperienza sportiva di un ragazzo fosse sufficiente a compensare la mancanza affettiva di un genitore. È vero che, a volte, la presenza di certi genitori turba l’ambiente, mette in imbarazzo, crea problemi. Tuttavia bisogna riconoscere che senza genitori non avremmo neanche i figli e che la famiglia è la protagonista che ha scelto di mandare il proprio figlio nella nostra società.

Inoltre questi ragazzi non sono nostri ma tornano a casa dal proprio papà e dalla propria mamma. Proprio ora, che per volontà di papa Francesco, la Chiesa si ferma a riflettere su “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, credo possa essere una bella occasione anche per le nostre società sportive ripensare al ruolo che i genitori hanno nei confronti dell’attività sportiva dei loro figli. Anzitutto ricordando loro che la scelta di un’attività e di una società sportiva è una loro responsabilità. È la famiglia che deve assicurarsi che la squadra dove gioca il proprio figlio è guidata da tecnici e dirigenti educativamente qualificati e che tutti devono avere la possibilità di partecipare.

Nell’attività giovanile è più importante porre l’attenzione sul divertimento e lo sforzo per dare il meglio di sé che il risultato. È importante anche mostrare un grado di interesse e coinvolgimento proporzionato all’attività sportiva dei propri figli. Non sono piccoli professionisti ma ragazzi in crescita, che hanno bisogno anche di altro. E’ importante ascoltare i propri figli quando parlano della loro esperienza sportiva ma anche quando parlano di altro. Non vale la pena soffermarsi sempre solo sui risultati conseguiti. I nostri ragazzi hanno bisogno di testimoni credibili che dimostrino loro come lo sport sia una cosa bella. I primi devono essere i genitori con il loro autocontrollo. I figli ci guardano e ci imitano. Pertanto, se perdiamo il controllo gridando contro l’arbitro o i giocatori avversari è più difficile che i figli imparino il rispetto del regolamento e degli avversari. Se contestiamo apertamente le scelte dell’allenatore, come farà ad accettarne il ruolo? La gran parte delle nostre società sportive sopravvivono grazie al volontariato di tanti. A volte sono nate su iniziativa di qualche genitore volenteroso. Anche oggi c’è bisogno di qualcuno che, oltre ad assistere alle partite del proprio figlio, possa rendersi disponibile per la squadra: automobilista per le trasferte, addetto al campo, lavaggio maglie, organizzazione… Ma soprattutto, i genitori devono avere sempre una considerazione positiva della società sportiva che frequenta il proprio figlio. Una società sportiva non è mai un semplice parcheggio, non è un investimento per le proprie tasche e neppure una delega in bianco. È un insieme di persone. Come una famiglia. E dove c’è famiglia c’è casa.

L'angolo del Consulente

Dove c'é famiglia, c'é casa

Don Alessio Albertini

Consulente Ecclesiastico Nazionale