Impariamo dalla Pasqua: la vita va donata per gli altri
Alla vigilia della sua Pasqua Gesù usa una semplice parabola per mostrare il senso vero di ciò che sta per compiersi: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Il vero volto della Pasqua è racchiuso nella storia breve e meravigliosa di questo seme.
L’attenzione è rapita dalla paura del verbo morire, tuttavia la verità si palesa grazie agli altri due verbi: rimanere soli o produrre molto frutto. Siamo messi con le spalle al muro da questa scelta: spendere la vita per gli altri e vedere il nostro dono moltiplicarsi nell’esistenza di tante altre persone oppure trattenerci e vivere di rimpianti fino a ripiegarci in una triste solitudine. Il senso della morte di Gesù è tutto qui: nel desiderio di dare frutto per il bene di qualcun altro. In quella fecondità che non ha paura di perdere qualcosa. In quella vita abbondante che non si risparmia. Non il morire rende felice Dio ma il dono della propria vita.
Non il privarsi ma l’incrementare.
Come il sacrificio di tante persone che non hanno paura di spendere le proprie energie per farsi carico dei più deboli. Coloro che non temono di aprire le porte della loro vita per accogliere gli scarti, gli avanzi di questa società ricca e opulenta. Anche il mondo dello sport non ne è esente.
Ho davanti agli occhi l’impegno di tanti genitori, che non rimpiangono i propri sacrifici e le proprie rinunce per il bene dei figli. Papà e mamme che non pretendono gratificazioni ma sanno donarsi perché la vita dei propri ragazzi non vada sprecata.
Tante persone che sentono la “spuzza” della corruzione e cercano di stare alla larga da tutte le sue manifestazioni: imbrogli, falsità, ricatti, tornaconti, interessi… La verità di ciò che si dice e si fa è un morire a ciò che è bene soltanto per me a favore di qualcosa che è un bene per tutti. È sotto gli occhi di tutti il martirio di tanti cristiani nel mondo che non hanno paura di perdere la vita per restare fedeli al Vangelo, ma anche l’esempio di tanti semplici testimoni della fede cristiana agli angoli delle nostre città, che non rinunciano a vivere da cristiani per paura di rimanere da soli. Vivere controcorrente è immettere germogli nuovi di pace, fratellanza, solidarietà nel mondo di oggi, che cerca di scacciare il Regno di Dio dalla storia.
Come ricordava Paolo VI, viviamo un tempo in cui c’è bisogno di testimoni che non abbiano paura di vivere il Vangelo. Ho incontrato tanti figli che non si lamentano di prendersi cura dei propri genitori anziani o malati: fanno tacere i loro desideri o i loro programmi non lasciandoli soli.
Nella riconoscenza per il dono della vita c’è un fiorire di atti d’amore che danno ancora frutto. C’è qualcuno sul palcoscenico dello spettacolo che ha rinunciato a fama e ricchezza rimanendo fedele ai propri sogni per far sentire, in parole e musica, “tutto sto vento che c’è e dire grazie di tutta sta vita per te”. Nella storia della Pasqua di Gesù è racchiuso il senso della nostra vita: trattenere ruba speranza per sé e per gli altri. Morire donandosi è rinascere in forma più piena per sé e per gli altri.