Quella “complessa semplicità” che rende felici nella vita
Non riesco proprio ad abituarmi. Eppure di scene così ne ho viste a centinaia. L’altra sera vado a vedere una partita di basket in un paesino della Brianza. Carlo arriva sul piazzale quasi sgommando. È l’amministratore delegato di una multinazionale e arriva da Firenze dove ha avuto una importante riunione di lavoro. Il tempo di slacciare la cravatta ed eccolo in campo nella veste di dirigente accompagnatore della sua squadra. Arriva e in un batter d’occhio compila distinte, riempie borracce, sistema borsoni e poi si fa trovare pronto in un angolo della panchina al fischio d’inizio. Basta guardarlo per capire che a quei ragazzi lui vuole proprio bene. La domanda è sempre la stessa: ma chi glielo fa fare a Carlo di farsi 300 km di macchina, a rischio di autovelox, di non cenare, e arrivare a casa in ritardo da moglie e figli per andare in una palestra sgangherata di periferia a fare il dirigente accompagnatore? Sappiamo tutti che Carlo non è il solo. Di gente così “matta” è piena l’Italia. Ogni società sportiva sta in piedi grazie ai suoi “Carlo”. Uomini e donne di buona volontà che fanno l’allenatore, il dirigente, il magazziniere, il tuttofare, facendo sacrifici indescrivibili per “tirare avanti la baracca”. La risposta si trova in una “complessa semplicità”. La sensazione è che Carlo ha voglia di essere felice nella vita. Semplicemente lo stare con i “suoi ragazzi “ è qualcosa che lo fa stare bene e lo rende intimamente felice. Difficile spiegare, difficile capire se non lo si è capito già. Solo chi ha provato a fare ruoli come questi, credo possa capire davvero quanta felicità vera si prova a stare tra i ragazzi. È proprio bello sapere che ogni settimana c’è un’Italia che si mette in viaggio: carovane di automobili per giocare la partita in trasferta. È bello sapere che c’è un’Italia che si sveglia presto: sono quelle persone che devono correre a preparare la palestra, a pulire spogliatoi, a segnare il campo perché sia tutto pronto per la partita dei ragazzi. È bello sapere che c’è un’Italia malata di “telefonino” ma dall’utilizzo sano: quei mister cioè che chiamano i loro ragazzi per sapere come è andata l’interrogazione o per sapere come va la vita o per consolarli dopo una panchina. È bello sapere che c’è un’Italia che non si accontenta di vincere: sono tutti quelli a cui vincere piace eccome ma non basta. Sono quelli che credono che davvero si possa educare alla vita facendo rotolare un pallone e che costruiscono generazioni di bravi e onesti cittadini dentro uno spogliatoio con gioia e semplicità. È bello sapere che c’è un’Italia che ha voglia di cercare la vera felicità: sono quelli che scelgono la strada poco illuminata ma “lunga e diritta” del servire e amare gli altri per stare bene con sé stessi. È bello vedere che c’è un’Italia di gente come Carlo: sono quelli che non sanno resistere alla voglia di stare con i “loro ragazzi” agli allenamenti e alla partita. Resta il fatto che tutto questo non è normale. È patrimonio educativo vero costruito da migliaia e migliaia di persone.