Chiamati a educare i nostri giovani. Almeno ci proviamo
«Qualcuno mi ha chiesto: ma quanti ne abbiamo convertiti con lo sport?
Probabilmente pochi.
Tuttavia mi sento di dire: ne abbiamo accolti molti e non abbiamo mandato via nessuno!». Sono parole del presidente del Csi, Vittorio Bosio, rivolte al Cardinale Baldisseri, al termine della Messa concelebrata con i Consulenti ecclesiastici del Centro Sportivo Italiano riuniti a Roma la settimana scorsa. Sono la conclusione di una giornata di riflessione ma anche la sfida dell’impegno educativo attraverso lo sport della nostra associazione. Il nostro impegno a combattere quella che Papa Francesco chiama “cultura dello scarto” si traduce nella nostra capacità di tendere mani amiche e offrire adulti credibili ai tanti giovani che si accostano alle nostre società sportive.
In un mondo, quello dello sport, sempre alla ricerca di nuovi record e di campioni da esibire, che molto spesso usa i giovani promettendo loro facili illusioni in compagnia, a volte, di adulti mestieranti in cerca di propri interessi, il Csi rinnova la sua vocazione ad accogliere, accompagnare, soddisfare, far crescere la voglia di diventare grandi, anche attraverso lo sport. Sempre Bosio: «Lei, Eminenza, parla attraverso la musica, noi lo facciamo con il pallone». È una grande responsabilità. Non per questo vogliamo rinunciare. Prendersi a cuore il cammino dei giovani è stata sempre una priorità per il Csi, fin dal suo nascere ma sempre è stato anche il desiderio della Chiesa che ha manifestato vicinanza a questa stagione della vita dove si intrecciano presente e futuro. Grandi santi educatori, uno fra tutti San Giovanni Bosco, hanno speso la loro vita a favore dei giovani per non lasciarli soli nella fatica di crescere. Quando si è giovani si è davanti a tante opportunità, ad una variegata possibilità di scelta, animati da un grande desiderio di felicità ma chi aiuta ad orientarsi e non perdersi nei dedali pericolosi della moda, della cultura, del facile e dello spontaneismo? Il Csi vuole almeno “provarci”. Anzitutto tendendo una mano amica come ha fatto Gesù con il cieco. Per chi non ha la vista una mano da stringere è una possibilità ma anche un rischio. È un sostegno sicuro per muoversi nel buio ma ti costringe a lasciare un luogo sicuro con i tanti punti di riferimento ormai memorizzati. Una mano tesa è la sfida a lasciare la propria sicurezza, i propri schemi, il conosciuto, l’abitudinario per scoprire quello che ancora ti attende. Una mano diventa amica nella misura in cui è offerta da una persona affidabile. L’allenatore, il dirigente chiunque operi nello sport deve essere credibile perché ha scelto di stare dalla parte di questi giovani e vuole presentarsi come un uomo o una donna contento della propria vita, dell’età che ha, del bene che ha vissuto, delle scelte che ha fatto. Senza rimpianti. Senza la nostalgia di una stagione che ora altri stanno vivendo e che ci guardano con l’occhio vigile per capire se quello che gli stiamo offrendo vale la pena essere vissuto.
Anche noi Consulenti siamo chiamati a dare una mano ai nostri comitati per far crescere questi educatori. È la nostra pastorale. Almeno ci proviamo.