Uno sport che guarda all’altro senza paura delle differenze
Non nascondiamoci alla realtà: vivere in questi giorni la bellezza della Pasqua, lasciare spazio nel nostro cuore alla certezza della Risurrezione e alla vittoria della vita sulla morte, non è stato facile. Tutto intorno a noi parla di sofferenza: le guerre strazianti in molte parti del mondo, il terrorismo vile che uccide gli innocenti e vorrebbe stordire con il rumore delle bombe o gli assalti suicidi la forza della normalità civile, la minaccia di una nuova guerra nucleare sicuramente letale per gran parte del mondo, e infine, ma per noi italiani sempre più travolgente, la massa di disperati che dalle coste africane si riversa sulla nostra penisola. Non mi lascio tentare dalla voglia di dire perché nonostante tutto noi Csi, noi cristiani, noi donne e uomini dello sport cristianamente inteso, non possiamo lasciarci andare alla disperazione, alla sfiducia. Dovrei fare analisi sociologiche e politiche a me estranee. Il Csi ha altri compiti ma non minori responsabilità. La società non è un prodotto “altro” rispetto al nostro modo di porci in essa. Su di noi incombe il dovere di dire che non possiamo né siamo capaci di fuggire da noi stessi e dal mondo che abbiamo contribuito a costruire. Siamo testimoni di un modo bello, solidale e vincente di proporre l’attività sportiva; ne siamo i protagonisti e quindi sappiamo che per noi un percorso c’è. La nostra risposta è uno sport che guarda all’altro senza paura delle differenze, con la capacità di proporre integrazione, solidarietà, condivisione. I tormentati fenomeni che stanno travolgendo la società attuale stanno cambiando anche il modo di fare sport. Le società sportive non sono più uguali a quelle di fine millennio. Tutto oggi è più difficile per la diversità delle lingue, delle culture, dei modi di intendere la vita. La crisi economica ha cambiato radicalmente il modo di organizzare lo sport sia nelle grosse che nelle piccole società sportive. Lo sguardo su quello che ci sta attorno è spesso lo sguardo sulle macerie: dirigenti che si sono tirati fuori da sfide troppo grandi, volontari che hanno lasciato il passo perché i compiti sono troppo impegnativi, gli sponsor che sempre più spesso chiudono la porta anche alla richiesta di piccoli aiuti. Eppure il Csi è lì a proporre formazione, accoglienza, cura dei settori giovanili e organizzazione dei settori adulti. C’è qualcosa di straordinario in questa tenuta, ma attenzione a considerarlo un dato acquisito per sempre. Non è così. Dobbiamo essere capaci, oggi, di dare un senso alla nostra proposta, interpreti delle difficoltà delle famiglie, vicini e pronti a sostenere le fatiche dei dirigenti, degli allenatori, dei volontari. E per fare questo non basta l’ispirazione giusta, non basta affermare che ci proponiamo come testimoni di uno sport ispirato dal messaggio cristiano. Bisogna saper leggere i fenomeni sociali ed economici di questa società per governare la barca in una navigazione che non finirà mai. Ma soprattutto in una navigazione che permetterà a tanta gente di salire a bordo e condividere la ricerca di un porto sicuro. Il domani non è di chi fugge ma di chi prende in mano, con coraggio e fiducia nella Provvidenza, il proprio destino.