Consulenti ecclesiastici, patrimonio di cura e spiritualità
Il tempo che passa non cancella in me il ricordo di una mattina di tardo inverno, all’oratorio. Il curato aveva inventato una sfida a pallone con noi ragazzi adolescenti (allora non sapevamo di appartenere ad una categoria anagrafica). Arrivò alle spalle mentre stavamo discutendo fra noi e ci sfidò. Forse voleva evitare che litigassimo. La sfida funzionava così: i due più bravi iniziavano a chiamare i compagni per fare le squadre: uno a te, un altro a me, fino al completamento della formazione con tutti i presenti. Io non ero bravissimo e quindi non ero mai tra i primi ad essere chiamati, ma non era un problema purché potessi giocare.
Indelebile particolare di quel giorno è il campo dell’oratorio totalmente bianco. Niente righe a lato e a fondo campo. Giusto le porte e un perimetro di gioco che ci lasciava il tempo di decidere quando il pallone era fuori e quando era “rimessa”. C’erano sole e aria freschissima. Giocammo. Il don si fece onore, anche se era a volte intralciato dalla lunga veste nera che arrivava fin sulle scarpe. Ma la sorpresa venne quando, in area, in chiara occasione da gol a suo sfavore, riuscì a fare letteralmente sparire il pallone alla nostra vista, coprendolo con la sua veste. Al momento ci mettemmo a ridere, poi però invocammo il rigore. Ma non era rigore, non era fallo. Cosa era? Era il curato tra di noi, che faceva le cose che facevamo noi, che stava su quel campo innevato su cui riuscivamo a giocare e che oggi non vedrebbe nessuno iniziare una partita. Quel momento simbolico, magico, oggi lo viviamo in modo diverso. Mi trovo oggi, da presidente nazionale del Csi, ad accompagnare con il cuore, con gratitudine ed affetto, gli incontri dei consulenti ecclesiastici che portano la loro testi-monianza di servizio alla Chiesa, come comunità di tutti i credenti, dentro lo sport. Lo fanno sostenendo la nostra attività dentro e fuori gli oratori, difendendo ovunque il grande valore educativo dello sport così come proposto dal Csi. Lo fanno anche facendo loro stessi sport. Oggi abbiamo esperte squadre di preti calciatori, abbiamo bravissimi sacerdoti pongisti e ottimi runners. L’amico don Alessio Albertini ne ha fatto una storia bellissima pubblicata recentemente. Prendendo la corsa a pretesto, ha raccontato gli “incontri”, lo scambio di riflessioni, il percorso fatto insieme.
I nostri consulenti sono oggi un patrimonio di spiritualità, di amicizia, di sostegno, di cura e di insegnamento. Ma sono anche amici che condividono un cammino con noi. Torno all’esempio iniziale che fa capire come il messaggio dal sacerdote passi ai giovani (e anche a chi giovane non lo è più) se si creano condizioni per condividere esperienze. Allora parlarsi è più facile, perché solo in questo modo le parole hanno lo stesso suono e lo stesso significato per tutti. Il prete che fa sport è un canale aperto per la comunità verso l’immensità del messaggio di Cristo che porta alla vita buona, ad un vivere che non si lascia chiudere nell’orizzonte limitato dell’esistenza del corpo. Non vorrei sembrare esagerato, ma sono sicuro che quel prete, adorato da noi ragazzi e severo quando necessario, giocando a pallone come uno di noi, ci ha fatto un dono grande. Così grande che ancora lo ricordiamo a distanza di 50 anni.