«Dare il meglio di sé»: una chiamata per aspirare alla santità
Il 1° giugno è stato presentato il documento preparato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita “sulla prospettiva cristiana dello sport e la persona umana”, dal titolo “dare il meglio di sé”, espressione rivolta da Papa Francesco, il 7 giugno 2014, alle associazioni sportive riunite in Piazza S. Pietro per festeggiare il 70° anniversario della nascita del Csi. Come richiamato dal Cardinale Farrel, prefetto del Dicastero, «non esisteva ancora un documento che raccogliesse il pensiero e i desideri della Chiesa cattolica relativi alla pratica sportiva, sia quella svolta a livello professionale sia quella di tipo amatoriale». Il documento offerto, il primo della Santa Sede riguardante lo sport, «non ha la pretesa di rispondere a tutte le domande e alle sfide che oggi pone il mondo dello sport, ma intende raccontare il rapporto tra lo sport e l’esperienza di fede e offrire una visione cristiana della pratica sportiva». Non è neppure un testo per studiosi o ricercatori ma una riflessione sullo sport “divulgativa e pastorale”. Il titolo è un’espressione assai ricorrente in Papa Francesco, che sottolinea in modo evidente il rapporto tra sport e vita di fede: lo sforzo che nell’attività sportiva è richiesto per raggiungere l’obiettivo e il successo diventa, nella vita spirituale, la chiamata “a dare il meglio di sé per raggiungere la santità”. È un invito a non accontentarsi del minimo, di un “pareggio mediocre”, ma osare e mettersi in gioco per raggiungere un risultato. I veri atleti credono che il loro obiettivo sia importante, possibile, degno di sforzo e sacrificio, per questo sono pronti a sostenere la fatica e la disciplina per prepararsi. Il documento è stato accompagnato da un messaggio del Pontefice che ancora una volta, richiama come lo sport «può essere uno strumento di incontro, di formazione, di missione e santificazione». Rispetto a questi due argomenti il Papa ricorda che «la Chiesa è chiamata ad essere segno di Gesù Cristo nel mondo, anche mediante lo sport praticato negli oratori, nelle parrocchie e nelle scuole, nelle associazioni…». Da una parte lo sport “può aprire la strada verso Cristo in quei luoghi o ambienti dove per vari motivi non è possibile annunciarlo in maniera diretta; e le persone, con la loro testimonianza di gioia, praticando lo sport in forma comunitaria possono essere messaggere della Buona Notizia”. Si tratta di passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale missionaria, nella quale non è la semplice istituzione a garantire la trasmissione del messaggio ma la persona stessa che si pone accanto con tutta la sua ricchezza di uomo e donna trasformati dall’incontro con Gesù e il suo Vangelo. Tutto ciò non è certamente garanzia di riuscita ma di sicuro un’occasione per annunciare. Insieme «dare il meglio di sé nello sport è anche una chiamata ad aspirare alla santità»: «per lo sportivo cristiano, la santità sarà dunque vivere lo sport come un mezzo di incontro, di formazione della personalità, di testimonianza e di annuncio della gioia di essere cristiano con quelli che lo circondano ». È un invito perché ogni sportivo immetta nel mondo in cui vive il germe dell’amore gratuito che interrompe il determinismo dell’ostilità, dell’inimicizia, dell’ingiustizia e dell’egoismo. Accettare la sfida di diventare santi regalando il meglio di sé è riconoscere le proprie capacità, i pregi, le qualità e non lasciarli in un cassetto, contenti di averli, ma farli fruttare, svilupparli, coltivarli. È la sfida al nuovo, al “di più” e al meglio.