Educazione e prevenzione, solo così si batte il razzismo
Ricordate le vecchie ricette della nonna? «Se ti becchi un bel raffreddore, niente paura: la sera prendi un bel bicchierone di latte e miele e la mattina starai meglio. Il segreto sta tutto nel mescolare i due ingredienti: prendere solo il latte o solo il miele non serve a nulla e non fa guarire un bel niente». La vecchia ricetta della nonna potrebbe andare bene anche per il calcio italiano: un bel bicchierone di “prevenzione e repressione”, magari non farà guarire definitivamente, ma potrebbe essere di grande utilità per sentirsi un po’ meglio. Il problema è il solito, il comportamento del tifoso negli stadi. Di misure restrittive e repressive (che ci vogliono!) si parla di continuo, di prevenzione si parla poco, troppo poco. Gli esempi sarebbero infiniti. L’ultimo riguarda la vicenda “cori razzisti”, che tiene banco da qualche settimana. Si è giustamente discusso se sia arrivato o meno il momento di prendere una decisione drastica come quella di fermare le partite e chi debba farlo (Governo? Figc?). Dibattito interessante, anche se un po’ surreale. Il problema però è sempre un altro. Per dirla con il linguaggio della nonna, c’è il “latte” ma manca il “miele”, e senza “miele” la medicina non funziona. In altre parole, in un regime che ormai da anni è di emergenza quali sono le azioni straordinarie in termine di prevenzione? Indubbiamente ci sono state azioni importanti e significative. Il Coni, la Figc, il Csi, le Istituzioni, le agenzie del sociale realizzano in Italia tanti interventi (in particolare nelle scuole) di educazione al tifo, alla violenza, ai valori dello sport. Ma si tratta di azioni locali, importanti ma non coordinate tra di loro; insomma, di azioni che non riescono ad assumere il carattere dell’intervento “forte e straordinario” che si deve fare in condizioni di emergenza educativa. Per tornare alla metafora del raffreddore, certi interventi sembrano più piccole e sparse gocce di propolis che un bel cucchiaione di miele da mescolare nel latte (le azioni repressive). Serve qualcosa di più, serve un grande sussulto educativo capace di dare vita ad azioni ed interventi straordinari ed eccezionali, mobilitando e coinvolgendo tutti quelli (e sono tanti) che hanno a cuore i veri valori dello sport. Ero tentato di non scrivere nulla sulla vicenda dei cori razzisti, perché il rischio è quello di scadere nella retorica e nella banalità. Poi l’altro giorno, davanti ad un caffè, un amico che allena una squadra di bambini mi ha detto: «Ma cosa vuoi, certe cose nel mondo del calcio non cambieranno mai». Il fatto è che se cediamo alla tentazione di pensarla così, allora è veramente finita. Cambiare certi aspetti del fenomeno calcistico sarà dura, ma dobbiamo provarci. Chi si comporta male deve essere punito con regole chiare, ferree e con certezza della pena. Ma insieme a questo serve un’azione immensa di educazione e prevenzione, che abbia la forza d’urto di una giornata mondiale della gioventù.