Lo strano caso del CONI e delle “discipline ammissibili”
Quando tra il dicembre 2016 e il maggio 2017 uscirono le famigerate delibere sulle Discipline Ammissibili, il mondo dello sport praticato cadde in uno stato di incredulo stupore. Il Consiglio Nazionale del CONI, forse ampliando le sue competenze oltre quelle previste, si assunse l’onere non solo di “disciplinare e coordinare”, bensì anche di stabilire cosa è “sport” e cosa non lo è, compilando un elenco di quasi 400 attività diverse, le quali così assurgono al rango di “discipline sportive” vere e proprie, con tutti i benefici del caso. Le società, i dirigenti e gli atleti di queste 386 discipline possono, attraverso il riconoscimento che gli dà l’iscrizione al Registro ASD, beneficiare di agevolazioni fiscali e contributive, di regimi agevolati, ecc. La motivazione era semplice: raccogliere un sollecito della Agenzia delle Entrate a fare chiarezza su quali fossero i soggetti che potevano accedere a queste agevolazioni, nel tentativo di eliminare quelle bolle di evasione ed elusione che si annidavano in false ASD o in false discipline sportive, troppo spesso nascoste, come apertamente detto da qualche dirigente federale, proprio negli Enti di Promozione Sportiva.
Il metodo con cui venne compilato questo elenco fu al centro di mai sopite polemiche: furono incaricati gli “Uffici” del CONI, cioè funzionari e impiegati, ad accorpare in un unico elenco le indicazioni giunte dalle sole Federazioni Nazionali e Discipline Associate, armonizzandole con quanto indicato dal CIO e da Sport Accord (una sorta di “sindacato” mondiale di Federazioni, ma anche di titolari di diritti, comitati olimpici, città, organi di stampa, media e imprese, che si auto-definisce come “il vertice mondiale dello sport e del business”). Insomma un tavolo di lavoro da cui, non solo furono esclusi gli Enti di Promozione Sportiva, ma da cui furono esclusi anche i pool di tecnici ed esperti di valore scientifico (forse i più titolati a compilare un elenco ragionato di discipline sportive), senza alcuna possibilità di appello. A nessuna disciplina esclusa, cioè, viene data la possibilità di dimostrare di meritare e di chiedere l’ammissione in quell’elenco, a meno che questa richiesta non venga mediata da una Federazione Sportiva. Insomma, dice il CONI, in Italia è “sport” solo ciò che fanno (quando, se e nella forma in cui lo fanno) le Federazioni Sportive. Punto. Tutto il resto è “non sport”.
Ciò crea inevitabili anomalie e contraddizioni, a volte anche divertenti se non fosse per le implicazioni fiscali e legislative. È così che diventa disciplina sportiva la “Capoeira” ma non lo “Yoga”, lo è il “Safari fotosub” ma non il “Dodgeball” (praticato nell’ora di ginnastica nell’80% delle scuole italiane), lo sono gli “Scacchi”, il “Cronometraggio” e la “Dama inglese, ma non il “Tchoukball” (ispirato alla pallapugno e creato per l’educazione fisica nelle scuole), ma per assurdo è sport il “Bridge” ma non lo è il “Burraco”. Questo peraltro è un evidente paradosso rispetto a quanto avvenuto nel Regno Unito nel 2017, quando il Bridge fu escluso dalle agevolazioni fiscali in quanto considerato un semplice gioco di carte e non uno sport; il ricorso della Federazione inglese fu bocciato dalla Corte di Giustizia Europea e così, nonostante il CIO dica il contrario, da 10 mesi il Bridge (tranne che in Italia) non può più essere considerato uno sport e (tranne in Italia) non può essere defiscalizzato. Da noi, in barba alla giustizia europea, non è invece cambiato nulla, e vi sono giochi di carte che sono ancora “sport” e giochi di carte che sono tornati ad essere solo “giochi”, e la Federazione Bridge continua ad essere considerata Federazione, percependo pure un finanziamento pubblico di 230mila euro all’anno. È strano.
Insomma, la difesa di interessi delle Federazioni esistenti (che sono le controllate, ma che anche controllano ed eleggono i loro controllori), ma anche un pizzico di scarsa conoscenza dello sport e della sua storia, hanno creato un elenco che contiene paradossi tecnici e incongruenze concettuali, senza nessuna possibilità di replica, senza un Comitato Scientifico che, sfruttando magari anche le competenze universitarie, con obiettività la riesamini e che decida inclusioni o esclusioni senza le interferenze delle Federazioni. Ma l’incongruenza più visibile è che l’elenco del Consiglio Nazionale del CONI ha in sostanza valore di legge fiscale, anche se il CONI non ha un potere legislativo, non è una amministrazione dello Stato ed i suoi vertici non sono nominati dal Governo Italiano, bensì si autodeterminano in una struttura monocratica. Insomma, nell’indifferenza totale dei Governi che si sono succeduti, il CONI ha auto-proclamato il potere di decidere chi deve pagare le tasse e chi no, chi deve avere i contributi INPS versati e chi no, chi è uno sportivo e chi un “commerciante”, assumendo un ruolo decisionale ed esecutivo insieme che, non solo non è reperibile nel suo ordinamento, ma in effetti è unico nel suo genere rispetto agli altri Comitati Olimpici del mondo occidentale democratico.
Recentemente alcuni Enti di Promozione Sportiva, pur di attirare a sé qualche affiliazione in più, proclamano di poter risolvere il problema, promettendo ad esempio che i Circoli di Burraco che si affiliano a loro potranno tornare ad iscriversi al Registro ASD del CONI. È tutto falso; possiamo affermare con assoluta sicurezza che il Consiglio Nazionale del CONI non ha alcuna intenzione di riammettere il Burraco né di escludere il Bridge. Per cui, a meno che non si dichiari il falso (con tutti i rischi personali del caso), nessun Circolo di Burraco riuscirà ad iscriversi nel 2019 al Registro ASD come tale. Chi afferma il contrario, mente sapendo di mentire. Ciò che stupisce è che invece resteranno iscritti i Circoli di Bridge, che continueranno a non pagare le imposte né sulle iscrizioni incassate, né sui montepremi pagati; sì perché nel Bridge non ci si gioca solo il “giro di caffè”, basta andare sul sito della Federazione e si vede che il Montegrotto Bridge Festival di 6 mesi fa, vantava un montepremi di oltre 26mila euro esentasse. Ma ciò che stupisce ancora di più è che vere e proprie discipline sportive di squadra, ad alto valore educativo e di fair play per i giovani, come Tchoukball e Dodgeball, restino considerate, da chi non le conosce, dei “non sport”.