«Ricordati che sono venuto qui per divertirmi e crescere»
Inizia la nuova stagione, ricomincia l’avventura sportiva per tanti ragazzi, e di nuovo il CSI si mette in moto con i tanti volontari che, in qualità di allenatori e dirigenti, aspettano i propri atleti per cominciare l’avventura. Alcuni sono già in campo. Provano e riprovano gli schemi agli ordini perentori e urlati dal proprio mister. Senza palla ma solo corse, meccanismi accordati e insieme qualche balzo, di zemaniana memoria, sui gradoni della chiesa. D’altra parte le nostre società non possono permettersi di avere la tribuna a bordocampo. E così, tra uno skip e una diagonale ecco rimbalzare, per caso, in campo un pallone: «E questo che cos’è?!», la domanda che tutti si pongono. Come cos’è? È l’oggetto massimo del desiderio che ha spinto al campo tutti questi ragazzi: divertirsi. Come rispose la teologa Dorothee Solle a chi le chiedeva come spiegare la felicità ad un bambino: «Non gliela spiegherei, gli darei un pallone per giocare». Scena due: palestra di una piccola parrocchia di periferia. Il “don” ha deciso di andare a trovare le ragazze della squadra di pallavolo che, appena scese sul parquet appena rifatto, si sono dovute fermare con il pallone in mano per ascoltare le profonde parole sul senso della vita e sulla pienezza della libertà. Tra sguardi attoniti e sbadigli assonnati, la più scaltra rivolge la sua ingenua domanda al coach della squadra: «ma quando si comincia a giocare?». Eh, sì! Perché è questo il motivo per cui i ragazzi si iscrivono nelle nostre società sportive: giocare. È l’azione più libera, gratuita ed entusiasmante per una giovane vita. La terza scena è il bambino accompagnato dal papà alla scuola calcio e la bambina accanto alla mamma all’ingresso della palestra di ginnastica. In comune un solo pensiero: «quest’anno mio figlio (mia figlia) non potrà fallire e vincerà il campionato e tutti si accorgeranno di lui (lei)... d’altra parte tutto quello che ho fatto per lui». Non ci siamo mai chiesto se questa è anche la volontà dei nostri figli. Lo sport è certamente guidato dal desiderio del successo ma la strada per arrivarci è piena anche di relazioni con gli altri, di felicità nel provarci, di perseveranza nella fatica. Non sono considerazioni da dimenticare se ancora, di nuovo, anche quest’anno, noi Csi abbiamo il desiderio di “educare attraverso lo sport”. Lo sport è un’esperienza di poche parole e tante emozioni, di libertà e non di costrizioni, di gioia e non di lacrime. Lo sport che vogliamo non assomiglia ad un lavoro ma è un gioco che provoca a mettersi in gioco per sperimentare la bellezza di stare con gli altri, rispettandoli e creando amicizie. A volte corriamo il rischio di ridurre l’educazione a semplice trasmissione di buoni comportamenti e discussioni sui contenuti senza accorgerci che, nello sport, abbiamo già un valido alleato: ai ragazzi piace giocare. All’adulto però deve interessare “far giocare” e farlo giocare bene, magari anche con il sorriso sulle labbra e una dedizione gratuita, segni inequivocabili per confermare ad ogni ragazzo la gioia che siano qui con noi e indizio sicuro per credere che nel loro divertirsi è possibile crescere.