La vera «proteina amica» sportiva è nella passione e nel gioco
Sarò un inguaribile romantico, ma leggendo questi giorni che è stata scoperta una “proteina amica di chi fa sport” non ho avuto solo pensieri positivi. Questa proteina sicuramente potrebbe aprire scenari nuovi sulle enormi potenzialità della scienza al servizio delle persone. Temo che invece non sia così e che molti abbiano intravisto in questa news la possibilità per una nuova era di supercampioni, di persone indotte a superare i limiti naturali con interventi non affatto naturali. Il sogno dell’uomo perfetto, eterno vincitore di tutte le sfide, è pur sempre latente nella nostra comunità. Esagero per forzare il concetto ma questa prospettiva non mi piace, anche solo se realizzata al 10%. Una selezione fatta su base chimica non è per la persona ma ha altri scopi. Facciamo un passo indietro e torniamo alle radici della nostra Associazione e a quella proposta sportiva fatta da cristiani a favore della società civile. Davvero lo sport deve affidarsi alle proteine per superare un’altra barriera? Per rispondere dobbiamo avere il coraggio di cercare il vero senso dello sport. Cosa intendiamo per attività sportiva? Non certo solo la ricerca assoluta della vittoria, componente sì ma minima dello sport. Dove mettiamo il benessere della persona, la socializzazione, la salute, la prevenzione? Sono tutti fattori connessi all’attività sportiva eppure lontani dall’idea di prestazione fine a se stessa. La scienza ci mette a disposizione i mezzi per fare in modo che nessuno rimanga indietro, per superare le barriere personali, fisiche o psicofisiche. Mi auguro che nessuno pensi di usarla per costruire sportivi “robotizzati”, modificando il dna delle persone o con iniezioni di proteine a comando. Qualcosa di simile è già successo e sappiamo che danno abbia fatto all’intero mondo sportivo,da quello specialistico a quello amatoriale. Per il Csi il concettoautentico di sport è legato fortemente al gioco ed al suo aspetto divertente,coinvolgente e affascinante.
Comunque nel fare sport, che sia individuale o di squadra, nessuno è mai totalmente solo. C’è sempre un fiorire di relazioni, di incontri, di aperture verso l’altro componente della propria squadra, della propria società sportiva. Il modo per evitare ogni rischio comunque c’è ed è quello di mettere al centro di ogni azione il bene della persona. Se più delle classifiche, degli olè del pubblico, degli spot pubblicitari e degli interessi economici, ci preoccupiamo di far vivere momenti indimenticabili alle persone che fanno con noi sport, allora stiamo facendo la cosa giusta. Quando affrontiamo temi etici e morali ci rendiamo conto di quanto illuminati fossero i fondatori del Csi ormai oltre 75 anni fa. Con la semplicità dei grandi hanno posto le basi per una sportività sinceramente messa al servizio della crescita personale, della formazione e della educazione dei giovani. Veramente avevano a cuore la grande “bellezza” (insisto su questa parola) dell’attività ludico–sportiva. Su quelle basi si sono poi sviluppate tante società formate da persone capaci di mettersi al servizio in modo semplice e spontaneo. Andrebbero aiutate e tutelate dalle istituzioni, dalle famiglie, dagli atleti stessi. O anche solo rispettate. Invece oggi cresce la demagogia e le normative che parlano dello sport come “roba sporca” e perciò si chiedono più controlli, classifiche e verifiche. Non va bene. Servono poche regole, chiare e facili, in modo che poi la passione, la voglia di fare, l’amore per i giovani di tanti dirigenti, appassionati e capaci facciano il resto.