Sport di tutti. Pochi 7 milioni per far fronte alla povertà
Quando il Governo Cinque Stelle–Lega decise di staccare dal Coni la società di servizi e farla confluire in “Sport e Salute Spa”, con l’intento di riportare sotto il controllo del Parlamento le politiche sportive del Paese, in molti ci siamo chiesti quale sarebbe stato il vero ruolo di questa neonata azienda. Se un semplice “portafoglio di Stato” per sottrarre al Coni potere politico–economico, oppure il soggetto di una nuova evoluzione culturale in grado di incidere in modo efficace sulle politiche educative e sul benessere psico– fisico della popolazione, scollegando così la filosofia ferrea secondo cui solo lo sport selettivo e di alta prestazione abbia dignità. La frettolosità di questa operazione non ha consentito di pensare al meglio i dettagli, e molte sono ancora le domande senza risposta. Ma il recente fondo extra–budget di 60 milioni di euro, in gran parte poi destinato a finanziare le Federazioni, ha consentito di individuare 7 milioni per avviare un progetto nazionale di grande interesse. Si tratta di “Sport di tutti”, un titolo forse semplicistico che, però, riassume un concetto tutt’altro che scontato: lo sport è un diritto di tutte le persone, a prescindere dalle loro qualità tecniche, o della più o meno esigua capacità economica. La congiuntura finanziaria che stringe l’Italia in una morsa, assieme alla crisi del lavoro, getta ogni giorno nuove famiglie in condizione di “povertà assoluta”, senza avere così l’opportunità di far frequentare una società sportiva per la crescita dei figli. Il progetto finanzia l’accesso allo sport a persone disagiate economicamente, attraverso una rete di società sportive che, per consentire la partecipazione gratuita dei soggetti segnalati dal mondo della scuola o dai Servizi Sociali dei Comuni, riceverà da ‘Sport e Salute’ un contributo. Sport di tutti si snoda su due fasi: la “Young”, destinata a 50mila giovani dai 5 ai 18 anni, già avviata, e la “Senior” per gli ultra 64enni che partirà nel 2020. L’intento è più che lodevole, ma è un progetto non privo di contraddizioni da affrontare e risolvere nel futuro. La prima incoerenza è la scarsità dei fondi destinati ad uno scopo tanto ambizioso rispetto a quanto stanziato per le Federazioni: i soli 7 milioni di euro non sono affatto in grado di coprire i costi minimi essenziali di 50mila ragazzi che si riversano nelle società sportive, lasciando su queste ultime un peso economico, almeno di pari importo. Non si può combattere la povertà con finanziamenti altrettanto poveri. La seconda è la mancanza di una continuità nel tempo: cosa sarà di questi ragazzi quando a settembre i fondi saranno esauriti? Saranno rimandati a casa i meno bravi e resteranno a carico delle società sportive quelli più promettenti? Ogni buon progetto non può essere “spot”, ma deve necessariamente prevedere una permanenza negli anni. La terza contraddizione è la più significativa; sono ammesse a questo progetto solo le Asd più strutturate, quelle iscritte al Registro Coni, quelle, ma sono invece escluse le società sportive di base, di parrocchia o di oratorio, quelle che operano nelle periferie sociali del Paese, cioè le “non Asd”: quelle società sportive preziose quanto bisognose di aiuto e proiettate ad un servizio alle persone continuativo nel tempo: un patrimonio sociale da tutelare. È giunto il momento di emanare norme che diano dignità anche alle associazioni non riconosciute, ai gruppi sportivi parrocchiali, agli oratori cittadini o di paese, perché è davvero impensabile progettare uno sport proiettato all’azione sociale senza renderne protagonisti quei luoghi di educazione e aggregazione che della solidarietà hanno fatto l’obiettivo più importante, ben più di ogni medaglia o trofeo.