Quella nostalgia di luminosi sorrisi sulle nostre labbra
Dal racconto di un inquilino: Ormai era già da qualche ora che continuavo a guardare il mio orologio per tenere il conto del tempo che mancava al famigerato flash–mob. Ero venuto a conoscenza della sua esistenza da un messaggio Whatsapp del mattino, che invitava a presentarsi alle 17 sul balcone di casa per un grande applauso. Mio figlio, però, aveva come orario le 18 per un inno nazionale e mia moglie… Tutti insieme, fuori, a tagliare con il suono della musica e del rumore questo silenzio così irreale. E con noi c’era anche quella del pianerottolo di fianco, che ogni volta che rientri ti guarda di sbieco dallo spioncino della porta. Ma ho potuto ammirare anche il volto sorridente di quel tipo che abita dirimpetto al nostro appartamento, che ha sempre un argomento polemico nuovo per il punto “varie ed eventuali” alla riunione di condominio. Oggi no. Oggi tutti insieme per sentirci un po’ più vicini e un po’ meno soli. Chissà se ce ne ricorderemo, poi, quando il volerci incontrare non sarà più dettato da un’emergenza ma dall’esigenza della vita e dalla libera scelta dell’amicizia. Al piano di sotto di un condominio di periferia il pomeriggio è sempre lungo da animare: la mamma sta riordinando dopo il pranzo, il papà vorrebbe concedersi un meritato riposino sul divano ma i figli non ne vogliono sapere. I giorni iniziano a essere tanti, i compiti si possono rimandare, la televisione comincia ad annoiare: «Papà a che gioco giochiamo?». Idea geniale: nascondino!. «Voi andate a nascondervi, io conto fino a un milione e poi vengo a cercarvi».
Nascondersi, non farsi trovare, stare acquattati per scattare al momento giusto verso la tana e liberarsi.
Quando, poi, tutti gli altri sono stati scoperti e l’attesa cade sull’ultimo rimasto, sperando riesca a fare un balzo e urlare «Tana, liberi tutti!», stare accucciato diventa ancora più necessario. È proprio per questa ragione che stiamo tutti nascosti in casa: perché a ognuno venga data una possibilità. È bello pensare che tutti si occupano di tutti, come a nascondino. Consigli per affrontare con la dovuta calma questi giorni di quarantena: «parlare con dolcezza alle piante». È allora che ho visto un giovane signore avvicinarsi e poi mostrare con garbato nervosismo il vasetto di pesto alla sua pianta di basilico. Poveretta! Certamente, quando siamo arrabbiati ogni cosa diventa più difficile ma sarà la gentilezza, già a partire da oggi, la vera rivoluzione di cui ci eravamo dimenticati. Parole come «mi manchi», «ti voglio bene», «posso», «per favore», «volentieri» ci faranno riavvicinare agli altri, abbattendo i muri della violenza e della prepotenza. Ho visto anche che giovedì scorso, per il Rosario comunitario, lo share si è impennato: non più flash–mob sui balconi ma tenui fiammelle alle finestre per non spegnere la speranza, per illuminare la tristezza, per riscaldare l’amicizia. Perché abbiamo voglia di dire a Maria, donna della festa, che ci manca tanto in questo tempo di lacrime la danza, abbiamo nostalgia dei nostri canti di festa e non vediamo l’ora di riaprire la nostra bocca al sorriso.