Famiglia e sport. Usiamo la fantasia per aiutare le mamme
Nell’intenso dibattito politico in corso c’è un tema orfano: è quello dell’importanza (e dei diritti) dello sport cosiddetto minore, quello di massa e accessibile a tutti. Stando ai giornali, alle tv, alle radio e ai social, in questi giorni si è persa traccia dello sport per tutti. Non se ne occupa più nessuno. Siamo piuttosto preoccupati della ripresa dei campionati calcistici di Serie A e della Champions League che sono, sia chiaro, realtà importanti nella nostra comunità, sia per gli aspetti sociali che per quelli economici, ma non sono tutto.
Perché, mi domando, non dedicare la stessa attenzione alle società sportive che reggono le sorti dell’attività sportiva, educativa e formativa sia nelle grandi città, in particolare in collaborazione con gli oratori, sia nei singoli Comuni? Sarebbe davvero grave dimenticare il ruolo dello sport di base in questo momento, perché più che mai c’è bisogno di dirigenti che sappiano organizzare momenti di incontro, di aggregazione – ovviamente senza venir meno al rispetto delle regole dettate per bloccare la pandemia – di gioco.
Anche questa parola, tanto affascinante quanto presente nella vita di tutti noi, è quasi del tutto sparita. Chi parla più del gioco? Solo i responsabili del Governo o delle Regioni, quando dettano le regole da applicarsi per la cosiddetta “fase 2”, quella che dovrebbe farci assaporare il profumo della libertà riconquistata, anche se per ora solo in piccole dosi. Lo stesso destino sembra toccare alle famiglie. Penso in particolare alle madri. La storia del mondo è costruita sulle spalle delle donne, che in compenso sono sempre state emarginate. Lasciamo stare la storia, perché allora dovremmo chiederci come sia possibile che solo dal 1946 abbiano avuto riconosciuto il diritto di voto, e stiamo al concreto. Nella fase più dura dell’emergenza nessuno è riuscito a dare un po’ di aiuto alle famiglie che si sono dovute occupare di bambini, ragazzi e giovani costretti a chiudersi in casa. Le soluzioni le hanno inventate le donne che hanno dovuto trovare un punto di equilibrio in famiglia tra difficoltà di convivenza forzata e necessità di far fronte alle necessità di ogni giorno. Ritengo giusto sottolineare che come Csi, stiamo cercando di dare una prospettiva alle famiglie, coinvolgendo i Comitati, e attraverso di essi, le società sportive, gli oratori, la scuola, i Comuni, le associazioni e chiunque sia in grado di proporre e gestire progetti di accoglienza, animazione, gioco. Bisogna smaltire la ruggine che ha bloccato la fantasia perché fino a ieri nessuno pensava che ci sarebbe stato bisogno di inventare qualcosa di alternativo alle partite di pallone, di pallavolo, di basket, alle corse e a tutto quello che avevamo imparato a fare molto bene. Sento dire che da soli non possiamo farcela, che lo Stato ci deve aiutare. Posso assicurare che la Presidenza del Csi è in pressing con tutte le istituzioni pubbliche e private affinché lo sport di base, quello “povero ma bello” sia rimesso al centro del dibattito e sia oggetto di attenzione e sostegno. Il contributo delle famiglie e dello sport di base, a detta di tutti, è fondamentale, salvo poi dimenticarsi di fare qualcosa, in concreto, perché queste fondamenta non vengano erose dall’indifferenza. Non voglio pensarci, ma credo sia facile per tutti immaginare cosa succederebbe se venisse meno la tenuta delle società sportive di base e delle famiglie italiane.