Che «promessa» non sia solo «premessa» a divenir campioni
Covid o non Covid, basta maschere e mascherine devono essersi detti al Coni nel presentare il claim “Dal gioco ai Giochi” che accompagna il ritorno degli Educamp, i centri estivi che promuovono l’attività sportiva dai 6 ai 14 anni. Non essendoci più quelli della Gioventù, è piuttosto esplicito che sia l’orizzonte olimpico il riferimento. Sul sito del Comitato Olimpico si legge a chiare lettere la vision dell’iniziativa “un percorso multidisciplinare per ampliare il bagaglio motorio degli iscritti... con l’obiettivo di aiutare i giovani a creare le premesse per diventare i campioni di domani”. Mai era stato così preciso, nella storia del comitato italiano pentacerchiato, l’orientamento finalizzato all’attività di vertice anche per i più piccoli. Dietro a un semplice slogan, non più sottintese appaiono evidenti le manovre “coniche” nel Palazzo H, ove il numero uno dello sport italiano è sempre più stretto dai confini imposti da Sport e Salute. In vista dei decreti delegati che il ministro Spadafora ha ormai da tempo annunciato per dare attuazione alla legge Giorgetti. Appare dunque oggi quanto mai utile oggi una breve rilettura, in zona Foro Italico, sul tema della riforma sportiva. All’indomani della seconda guerra mondiale, il Coni gestiva e finanziava lo sport nazionale in totale autonomia usando i proventi di concorsi e lotterie sportive. Fuori dal Coni non poteva esserci vita sportiva riconosciuta. Lo stesso Csi vide in questo ordinamento una minaccia per il libero associazionismo sportivo, e cominciò a chiedere inutilmente una riforma che distinguesse tra sport agonistico, sport scolastico e sport ricreativo. La richiesta di riforma riesplose negli anni ’70, quando l’istituzione delle Regioni affidò a questi nuovi organismi anche il potere della legislazione e della politica sportiva. Ecco allora la questione del cosiddetto “sport per tutti”, uno sport di servizio sociale cui il Coni, pur riconoscendone l’utilità, non considerava (allora) tra i suoi compiti primari. Il sistema italiano vacilla ad inizio anni ’90, con il declino del Totocalcio e la diminuita indipendenza assoluta basata sulla capacità di autofinanziamento. Torna attuale il bisogno di una riforma generale. È il novembre 1996 quando Walter Veltroni, ministro vigilante sullo sport, presenta un Ddl per la disciplina delle società e Asd e degli Eps. La filosofia della proposta è che lo sport ha “due gambe” – lo sport di prestazione e lo sport per tutti – che sono diverse ma interdipendenti, ugualmente importanti e quindi bisognose di pari dignità. Occorre insomma tutelare e regolamentare lo sport per tutti. Iniziativa che resta al palo come tutte le altre analoghe dei decenni precedenti. Dal 1998 al 2001 è ministro per i Beni e le Attività Culturali, con delega allo sport, Giovanna Melandri. Con il cosiddetto “Decreto Melandri” del 23 luglio 1999 è lei a provvedere al riordino del Coni, affidando all’ente «l’organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l’approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi ed istituendo all’interno del Coni di un Comitato Nazionale Sport per Tutti, mai messo in funzione. Il resto è storia recente con il Coni, anche quello di Malagò, che promette di sposare il fine educativo nelle fasce giovanili ma poi fa tutt’altro. Storia recente, ma ci ritorneremo.