Caro ministro, è una riforma dello sport che non convince
Il 9 luglio è stata rilasciata la bozza del Testo Unico di riforma dello sport disegnata dal ministro Spadafora. Ben 124 pagine in cui si trova di tutto, dagli agenti sportivi alla graduale abolizione del vincolo sportivo sino ad una esatta definizione di “cavallo atleta”. Ciò che manca è proprio una visione globale, strategica dei problemi dello sport italiano, a cominciare dal vizio originale del sistema: aver conservato al Coni il compito, di unico e supremo gestore dello sport. In Italia lo sport si è così sviluppato in maniera sbilanciata, indirizzando al Coni e alle sue Federazioni l’attività di eccellenza, a scapito della diffusione di uno sport di massa praticato dai cittadini per aggregazione, divertimento, bisogno di salute e altre finalità umane e sociali. È un miracolo tutto italiano che questo sport “sociale” sia cresciuto così tanto nei decenni, da raggruppare oggi i due terzi della popolazione sportiva nazionale. Gran parte del merito di tale fioritura va agli Enti di promozione sportiva, che pur tra inevitabili errori e ritardi, hanno consentito a generazioni di italiani di praticare un “altro” sport. In circostanze di forte subalternità al sistema Coni–Federazioni, potendo fruire soltanto delle briciole delle risorse gestite dall’ente olimpico dei cinque cerchi. Il Csi e con esso altri Enti, chiedevano da decenni una legge di riordino complessivo e che si riconoscesse alle due gambe dello sport pari dignità, diritti, indipendenza e peso specifico.
Bene, è proprio ciò che manca nel testo unico di Spadafora. Anzi, l’associazionismo di promozione, che in Italia rappresenta la fetta più consistente del movimento sportivo, è tornato nel limbo di chi esiste, lavora ma non conta. Agli Eps, cioè alla grande rappresentanza del sport di massa, è stato tolto il diritto, riconosciuto negli anni Duemila, di essere seduti nel Consiglio nazionale e nella Giunta Coni. L’unica assise in cui sono ammessi è la nascente “Consulta nazionale dello sport”, convocata almeno una volta l’anno dal Dipartimento dello Sport, neonata struttura amministrativa della Presidenza del Consiglio. La Consulta, però non ha alcun potere reale ed è composta da una larga molteplicità di soggetti. Non si tratta ora di “mettere le mani avanti”, o addirittura di “tirare la tovaglia dalla propria parte”; ma è impossibile assistere inerti ad un simile stravolgimento dello sport italiano.
Gli Eps, che a dispetto della loro diffusione, sono al lumicino in tema di sostegno pubblico stanno subendo un taglio del 30% dei già esigui finanziamenti alle strutture. Se non si rimedia, in autunno, migliaia di società sportive rischiano di non trovare più le attività e i campionati giovanili e amatoriali cui iscriversi. Leggendo il testo unico, ho poi la sensazione che gli Enti e le società vengano accomunati in un unico destino punitivo. E mi domando: perché mai?
Speriamo che il Governo possa ripensarci. E pensarci bene. Nove milioni di cittadini che hanno scelto liberamente di aderire all’associazionismo di promozione restano così senza voce e una chiara collocazione. Vien da pensare che conti di più il benessere del “cavallo atleta”, che quello delle persone, cittadini più o meno giovani, che amano fare attività dilettantistica.