Kakà a Daniele, il calcio è una scelta di cuore
Storie parallele , anche se diverse e lontane anni luce tra di loro. Sono quelle di Kakà e di Daniele. Kakà lo conosciamo tutti. Daniele è un ragazzino che gioca in una società sportiva della periferia di Milano. Tutti e due , nei giorni scorsi, hanno vissuto un “dramma umano” relativo ad un loro possibile trasferimento da una società sportiva ad un’altra. Una storia si è conclusa a lieto fine, l’altra purtroppo no. La vicenda di Kakà ha occupato pagine e pagine dei quotidiani nazionali in questi giorni. Non c’è molto da aggiungere se non dire grazie a Ricardo: per una volta tra il «cuore» e i «soldi» ha vinto il cuore. In un mondo del calcio dove il business e i giri d’affari dominano ogni logica quella del fantasista rossonero sembra una bella favola del terzo millenio. Da sempre diciamo che abbiamo bisogno dell’«esempio positivo» dei campioni. Ed il far vedere che alla fine i soldi non sono tutto e che l’attaccamento alla maglia conta ancora qualcosa è una bella testimonianza. Peccato che Kakà, nel calcio di oggi sembri un po’ un marziano. A dire il vero, volevo però raccontare la vicenda di Daniele. Negli stessi giorni in cui Kakà era conteso tra Milan e Manchester City questo ragazzino di belle speranze si è stufato di giocare nella sua società sportiva e ha deciso di lasciarla per seguire i suoi amici che giocano in una squadra d’Oratorio del Csi. Da quel giorno Daniele ha vissuto un quindicina di giorni di tensione simile a quella di Kaka. La sua società sportiva si è opposta al trasferimento e da lì è iniziato un ritornello di incontri tra i genitori di Daniele ed il direttore sportivo della società . «Il nostro bambino qui non si diverte più. Lasciatelo andare a giocare con i suoi amici all’Oratorio». Secca la replica del direttore sportivo: «Avete firmato un cartellino biennale ed ora il ragazzo è proprietà della società . Mi spiace ma deve finire la stagione qui da noi». Sembrerà incredibile, ma la storia di Daniele non si è conclusa con un lieto fine come quella di Kakà. Questo ragazzino bravino (ma che non farà mai il calciatore) ha dovuto rinunciare al sogno di «giocare con i suoi amici». Le regole in vigore infatti davano e danno ragione a quell’ottuso dirigente della società sportiva. Può sembrare surreale, ma è così. Ci batteremo con tutta la nostra forza per cambiare queste regole e per firmare con tutte le Federazioni Sportive convenzioni che siano vere alleanze educative a favore dei ragazzi e dei giovani. Sappiamo che tanti Presidenti Federali la pensano come noi. Per questo siamo fiduciosi e pieni di speranza.