Quella «sindrome da riformismo» senza profondità etica
La società di oggi è in costante evoluzione, sia negli usi e nei costumi come nel modo di pensare la nostra esistenza o di progettare e utilizzare strumenti moderni. Ciò richiede un costante adeguamento anche delle regole di vita comune. Mettersi in continua discussione, rivedere e riformare le proprie procedure e il proprio pensiero, è un atteggiamento molto positivo. Tuttavia, a volte, ci troviamo a vivere in una perenne “sindrome da riformismo”, dove a quelle veramente necessarie si aggiungono le riforme che rispondono invece a progetti di più corto respiro, perché prevalentemente orientate ad attuare la precisa idea politica dei promotori, ma che spesso soffrono la mancanza della necessaria profondità etica e sociale.
Anche il mondo dello sport sta vivendo, suo malgrado, un periodo di riforme radicali, delle quali una grossa parte è stata varata dal Governo l’altro ieri: da quella strutturale e normativa, a quella fiscale fino a quella giuslavoristica. Sono riforme necessarie, alcune anche lungamente attese, ma forse arrivate nel momento meno opportuno. Infatti la più grande e profonda riforma dello sport, la sta in realtà compiendo questa pandemia, che ai danni economici e sanitari, aggiunge quelli di natura sociale da cui lo sport uscirà profondamente ferito. Oggi non possiamo sapere “come” ne uscirà il nostro mondo sportivo e aggregativo; ma soltanto che sta passando il periodo più buio della sua storia moderna. Per riformare, però, ovvero cambiare forma alle cose, quando si è nel buio più oscuro, ci vogliono non solo una estrema cautela, ma anche una grande perizia e una fine conoscenza della materia, altrimenti si rischia di dare una nuova forma ad una cosa che, una volta riaccesa la luce, non sarà più quella di partenza. Insomma, si rischia di riformare lo sport per come era “ieri”, prima dell’arrivo del Covid, senza sapere come ne uscirà “domani”, quando la pandemia sarà sotto controllo.
Ciò comporterebbe un lavoro poco vantaggioso, avendo impiegato tempo e risorse a riformare un sistema che nel frattempo è profondamente mutato, con il concreto rischio di far ripiombare tutto nel buio ancora più assoluto. Se per qualcuno questa è una scorciatoia per realizzare il proprio progetto politico, sicuramente elaborato con l’intenzione di migliorare lo sport, il rischio concreto è di creare più danni che benefici; rimarrebbero solo macerie.
Le riforme, come detto, vanno certamente fatte, anzi sono un’esigenza fisiologica di ogni comunità umana; ma ad alcune condizioni: nel momento più opportuno, nelle condizioni politicamente più solide, con elevate competenze, smettendo di generalizzare per categorie, omogenee solo in teoria, e assumendosi anche le responsabilità della successiva vigilanza sul rispetto delle norme. Ma queste sono materie in cui noi italiani non siamo molto forti, ed è sempre dietro l’angolo il rischio di agire nel momento meno idoneo, per le ragioni sbagliate, con competenze inadeguate, facendo di tutta l’erba un fascio perché poi, controllare e diversificare, costa impegno. Esiste il momento delle riforme, ed esiste il momento dell’attesa; questa terribile pandemia porta con sé un buio così profondo che dovrebbe consigliare alla politica e alla società civile di viverlo come un periodo di vera riflessione più che di pericolosa azione.