Perché «sportivi» sia sinonimo di attori e non spettatori
La consistente campagna di vaccinazione, la minore pressione sulle terapie intensive degli ospedali, i diversi trattamenti che la scienza medica ha elaborato in questi terribili mesi per contenere al minimo la forza del virus nei contagiati, permette oggi con più fiducia di pensare alla “ripartenza”. Ma non significa “liberi tutti” o “tutto come prima”. Per altro tempo non sarà infatti possibile, ma la speranza, oggi più fondata che mai, è che nel mese di settembre la situazione sia talmente gestibile che si possano di nuovo programmare campionati, manifestazioni, tornei, gare... Che si possa, insomma, tornare alla pratica sportiva. Mi riferisco in particolare a quella proposta dal Csi: accogliente per tutti, adatta a tutti, con quella speciale attenzione all’inserimento dei più fragili. Di questo sport c’è grande necessità. Non sta a me intromettermi nelle scelte altrui, però credo che lo sport business dei grandi patrimoni abbia mostrato, anche negli ultimi tempi, più di una crepa. Grandi capitali, grandi investimenti, grandi debiti. L’asticella s’alza sempre di più, i protagonisti sono sempre più ricchi e selezionati, ma questo è lo sport che vede grandi masse di persone sugli spalti, o davanti alla tv. Quello che interessa invece il Csi è più lo sport dei quattro calci ad un pallone, della corsetta in compagnia, di una nuotata rilassante. Insomma di quella pratica sportiva attiva e concreta, utile alla Nazione, e non certo quella di uno sport da spettatori.
Con molto piacere ho notato, nei giorni scorsi, che ai più alti livelli governativi – e mi riferisco ancora al Presidente Draghi e alla Sottosegretaria con delega allo Sport Vezzali – l’idea di sport che hanno chiaramente enunciato è quella di uno sport praticato, e non di uno sport show al quale assistere, stando anche seduti, magari sgranocchiando dei pop corn. Sono ottimista perché ho visto tante società sportive darsi da fare con serietà e impegno per mettersi a norma, attuando le regole per poter riprendere le attività. Ma ora cosa serve per dare ossigeno a questo patrimonio di dirigenti che sono pronti a tornare in pista? Non certo finanziamenti a pioggia che spesso non si sa dove finiscono e perché. L’ho detto molte volte: se davvero vogliamo aiutare le società sportive di base, servono norme chiare e certe che mettano i nostri dirigenti, desiderosi di rispettare la legge, in sicurezza.
Un grosso scoglio poi è legato alle visite mediche per chi è guarito dal Covid; il cosiddetto “Return to Play”. Trascorsi i giorni dalla guarigione per tornare a giocare sono necessari infatti degli approfondimenti diagnostici, più costosi. È paradossale ciò, perché chi ha avuto la sfortuna di ammalarsi non può essere discriminato e non ricevere un maggiore sostegno. Se la Costituzione sancisce il diritto alla salute, non è forse il caso di riflettere anche su questo grattacapo che, se lasciato alle disponibilità delle singole famiglie, potrebbe diventare un grave problema di ingiustizia sociale?