Lo Ius Scholae e l’occasione di poter fare la cosa giusta
Sarà la personale nostalgia dei campi di calcio, delle piste, delle palestre, delle piscine e tanto altro, che quando mi avvicino ad un impianto sportivo per osservare una delle tante manifestazioni giovanili del CSI, mi emoziono nel vedere tanti bambini divertirsi insieme.
Li vedo correre, ridere, scherzare, tutti uguali tra di loro, eppure tutti così diversi per la società italiana (così come nel resto del mondo). Perché alcuni di loro sono cittadini italiani e altri, pur parlando la stessa lingua, giocando nella stessa squadra, andando alla stessa scuola, non possono esserlo. Eppure più li guardo insieme e più mi convinco che tra di loro non esistono cittadini italiani e cittadini stranieri, che sembrano più convenzioni per noi adulti, ma esiste solo sentirsi compagni, fare squadra, sentirsi uguali senza confini e senza barriere.
Sottolineo questi aspetti perché seguo con molto interesse il dibattito aperto sullo Ius Scholae, una norma che permette a bambini non italiani di poter ottenere la cittadinanza italiana grazie a uno specifico percorso di studi. Sia subito chiaro che non ho nessuna intenzione di invadere campi altrui, ma solo di partecipare, in modo positivo ad un dibattito che dovrebbe coinvolgere e interessare molto di più di quanto stia avvenendo.
Ho troppe primavere nel cuore per non sapere che non è facile coniugare sentimenti e realtà. Il tema dell’accoglienza, della solidarietà va declinato da cittadini responsabili che aiutino il livello politico a fare le scelte giuste, anche se non facili. Tutti dobbiamo lavorarci: associazioni, scuole, giornali, tv, social, enti pubblici, partiti… Credo sia il caso di precisare meglio questo ultimo concetto, perché con la riflessione sullo Ius Scholae siamo di fronte ad una occasione straordinaria, epocale, di fare la cosa giusta. Però bisognerebbe poterla fare, la cosa giusta, senza dover inseguire tornaconti elettorali. Mi piacerebbe – e non credo sia un sogno irrealizzabile – che di fronte ad una possibilità straordinaria di gestire la incontenibile spinta immigratoria e di offrire i giusti diritti a chi vive e lavora in Italia, così come ai loro figli, si svegliasse l’Italia migliore, quella delle grandi occasioni.
La norma che probabilmente lo Stato italiano si darà in questo caso non può essere il frutto di una contrapposizione tra presunti buoni e presunti cattivi,
ma dovrebbe essere l’espressione più alta della politica che si compatta per guardare l’orizzonte di tutti e per costruire una società più giusta dove accoglienza non sia successivamente ghettizzazione o sfruttamento ma condivisione di un modo di vivere come Cristo ci ha insegnato.
Un modo di vivere insieme che, proprio attraverso la formazione, la scuola, la vicinanza ai papà e alle mamme (non basta che un bambino impari l’uso della lingua italiana: deve essere questo un momento vissuto anche in famiglia, pur se con competenze sicuramente diverse). Non basta dire “accogliamo” e poi voltarsi dall’altra parte se le nostre scuole materne di periferia (giusto per fare solo un esempio), con una stragrande maggioranza di bambini provenienti da vari Paesi del mondo, con culture fra loro diversissime, vengono abbandonate dalle famiglie italiane, preoccupate della sorte educativa dei loro figli.
Guardo i bambini che giocano insieme, inconsciamente consapevoli, proprio quando giocano, che la diversità fra le persone di questa Terra non esiste. E se esiste è una ricchezza immensa perché ognuno di noi ha qualcosa da donare alla società in cui vive. Li guardo e sogno che la politica sappia creare un luogo dove questo tema venga affrontato, con ampie possibilità di scelte, senza dover valutare l’impatto sui voti dei cittadini, ma potendosi permettere di offrire alla comunità civile un grande, prezioso, indispensabile passo avanti nella condivisione dei diritti. Così come nella compartecipazione e nel rispetto di tutti i doveri, compreso quello della solidarietà circolare. E siccome l’esperienza nella vita mi ha insegnato molto, sogno che in questo lavoro, nella costruzione di una norma veramente degna dell’Italia, siano coinvolti anche i sindaci dei nostri paesi e delle nostre città. Magari pochi, ma sicuramente i più adatti ad offrire una visione credibile di quello che si può davvero fare.