Sull’educazione dei giovani, io sto con mister Mourinho
Caro Mourinho, ci voleva un uomo con incredibili doti di comunicazione come Lei per far parlare i giornali dell’educazione dei giocatori. Mi riferisco alle Sue affermazioni delle scorse settimane su Balotelli, che i giornali hanno sintetizzato nel virgolettato «I giovani di oggi pensano troppo alla Ferrari…». In realtà credo che il suo ragionamento andasse oltre, ruotando intorno ad un interrogativo ed ad una certezza. Da un lato: “Chi pensa all’educazione dei calciatori?” E dall’altro: «Per vincere è importante avere atleti che non siano solo bravi giocatori, ma anche uomini con la testa sulle spalle, ancorati ai fondamentali valori della vita!». Si tratta di due verità che sosteniamo da tempo. In un mondo del calcio spesso staccato dalla realtà (e non sia un giudizio negativo), dove un giovane emergente si ritrova subito ad avere abbondanza di soldi, donne e popolarità, chi pensa seriamente ad educare questi ragazzi? Vede Mister, questo ragionamento ci interessa per tanti motivi. Il primo: quando si parla di educazione nello sport, siamo sempre interessati, è la nostra mission dal 1944. Il secondo: il Balotelli di turno inevitabilmente finisce per essere un modello di riferimento per migliaia e migliaia di giovani, attraverso il quale passano con grande immediatezza messaggi positivi o negativi. Il terzo motivo - che credo interessi di più anche a Lei - è che “educazione e prestazione” non sono “nemiche”, anzi una è strategicamente funzionale all’altra. In parole povere, per vincere è importante curare anche gli aspetti umani dei ragazzi che si hanno in squadra, a tutti i livelli, dal campetto d’oratorio alla serie A. In questa direzione, caro Mister, il mondo odierno del calcio ha bisogno di dimostrare innovazione e coraggio, proprio come lei ha fatto parlando di Balotelli. Noi proviamo a seguirla e a rilanciare. Non crede sia arrivato il tempo di introdurre nel team dei grandi club la figura del “direttore educativo”? Decenni fa è stata inventata la figura del direttore sportivo perché il calcio stava diventando un serio business, e serviva una figura che coordinasse la vita della squadra fuori dal campo. Oggi è arrivato il tempo di osare, di andare oltre. Serve inserire nello staff della prima squadra chi si occupi degli aspetti educativi della vita degli atleti al di là degli aspetti organizzativi, qualcuno che in modo discreto e non invasivo gli proponga di vivere nel loro tempo libero esperienze umane importanti, capaci di non fargli dimenticare i veri valori della vita. Sarebbe utile per loro (gli atleti), per la società sportiva, per i risultati agonistici, per il sistema calcio, per migliaia di ragazzi che prendono esempio dai campioni. Da tempo collaboriamo con diversi club di serie A. Si riescono a fare belle cose educative con i settori giovanili, mentre le prime squadre sembrano essere fortini inespugnabili. Serve invece il coraggio di “investire” nell’azione educativa nel calcio professionistico, come azione strategica e non come fatto occasionale e marginale. Attendiamo con fiducia qualcuno capace di cogliere il significato di questa intuizione.