Ai ragazzi parlate dei grandi problemi del nostro tempo
L’altra sera ero a Parma in occasione del Premio “Sport e civiltà” promosso dal Comune della città emiliana. Bella serata. Premiati tanti personaggi importanti come Alex del Piero, le ragazze della Nazionale di Ginnastica, ma la vera lezione di civiltà è arrivata da un vecchietto che risponde al nome di Alfredo Martini. L’ex commissario tecnico della nazionale di ciclismo, quando è salito sul palco per ritirare il premio, ha preso in mano il microfono e ha detto: «Scusate ma voglio chiedere scusa al grande pubblico. Quel grande pubblico che ancora oggi affolla le strade, che ci aspetta sul Pordoi quando tira uno stravento gelido… Voglio chiedere scusa perché il ciclismo ha imboccato scorciatoie sbagliate. Dobbiamo uscirne. Quello che conta è iniziare a chiedere scusa e a capire che per uscirne dobbiamo ripartire dalla convinzione che l’uomo è più importante dell’atleta». Hai capito nonno Martini? Quanto a civiltà – in quella serata – è scappato in fuga e si è lasciato tutti dietro. Testimonianze così fanno ancora sognare che un giorno il doping sarà sconfitto e soltanto ricordato come la grande piaga del secolo dello sport professionistico. Altra bella testimonianza è quella di Renato di Rocco. Il Presidente della Federazione Ciclismo siede con me nella Giunta nazionale del Coni e per questo ho avuto la fortuna di poterlo conoscere bene. Un grande dirigente sportivo nelle cui vene batte una passione educativa immensa. Un uomo che con un coraggio infinito si batte come un leone per liberare il ciclismo da questo grande male. È bello sapere che la Federazione è guidata da una persona così. È bello per il ciclismo ma anche per tutto lo sport italiano. Certo la battaglia è di quelle durissime. Ne sa qualche cosa, ad esempio, Patrick Kell, magistrato francese caduto in disgrazia per aver attaccato il doping al Tour de France. “Dal tribunale alla prigione” è il titolo del libro che ha scritto recentemente. Sì, proprio così. Il magistrato francese è finito dietro le sbarre dopo che minacce, intimidazioni, pressioni gli hanno rovinato la vita: abbandonato dalla moglie, vittima dell’alcool per una carriera distrutta, si è ritrovato a toccare il fondo della sua esistenza. Il vero dramma è che il suo è stato un fallimento generale, oltre che personale. Ho pensato di raccontare queste storie perché sono testimonianze di coraggio, un coraggio che dobbiamo avere anche noi. Potremmo lavarcene le mani del doping, ragionando così: «Fortunatamente il doping è lontano anni luce dai nostri campetti e dalla vita delle nostre società sportive, quindi non ci riguarda. Troppo facile. Siamo chiamati invece a cercare risposte ad una scomoda domanda: “Cosa possiamo fare noi per aiutare a combattere questo terribile male?”». Forse poco, ma qualche cosa possiamo e dobbiamo fare: parlarne con i ragazzi. Parlargli di questa “follia” e vaccinarli non con punture o siringhe ma con la testimonianza di un vero amore per lo sport e per i valori della vita. Parlatene con loro. Magari parlate anche del vertice della Fao che si è tenuto questa settimana a Roma. Mentre i nostri ragazzi giocano, nel mondo 1.02 miliardi di persone sono in condizioni di denutrizione. Sono cose lontane da noi. Ma che ci uccidono il cuore. E parlarne serve, serve eccome!