Con l’anno nuovo entrerà nel vivo, da parte delle società di calcio, l’opera di formazione degli steward destinati ad operare negli stadi come addetti al servizio d’ordine. Che gli steward siano la medicina giusta per riportare la calma e la sicurezza negli stadi, personalmente è cosa che mi lascia qualche dubbio. Secondo gli esperti la novità dovrebbe abbassare il livello di tensione tra tifoserie e forze dell’ordine, ma a dirla alla maniera degli antichi romani: chi custodirà i custodi? Domanda lecita, se si pensa che il giudice sportivo ha inflitto due settimane fa 4mila euro di multa al Genoa, perché due steward avevano rivolto espressioni ingiuriose all’arbitro Rosetti al termine della partita con la Roma. Ma il problema vero non è l’eventuale infiltrazione di “pecore nere”, ma l’approccio che questi avranno alle difficoltà che dovranno affrontare. È una questione di formazione, appunto, le cui caratteristiche sono fissate per legge. Senza entrare nel dettaglio, i programmi formativi danno l’impressione che si guardi allo steward come una figura intermedia tra il poliziotto, il pompiere, l’infermiere di pronto soccorso e il tecnico di impiantistica. Il suo compito è sorvegliare, annotare, eventualmente denunciare. Qualcuno lo avrebbe voluto anche armato, pronto a sparare. La sua sfera d’azione, insomma, sembra complessivamente orientata più alla repressione che alla prevenzione. Servirebbe invece personale predisposto anche, o soprattutto, ad accogliere, dialogare, educare, perché solo così si può fare davvero degli stadi luoghi di civiltà e convivenza. È quanto meno dubbio che bastino due ore di formazione sulle problematiche psicologico-sociali (caratteristiche del tifo, psicologia di massa, gestione dei conflitti, comunicazione), tante quante ne prevede la legge, per fare di un cittadino o di un tifoso qualunque uno steward professionista in grado di risolvere un problema, quello del «clima» infuocato degli stadi, che si trascina irrisolto dacché il calcio è nato, quando lo si giocava con i baffi a manubrio e i mutandoni lunghi. Il problema, ancora e sempre, è di cultura sportiva e di educazione giovanile, ingredienti che dalle nostre parti scarseggiano. Se l’ultrà si diletta a lanciare ululati razzisti o odia la polizia, metterlo fuori dagli stadi serve a poco: i suoi danni li farà a scuola, in piazza, in discoteca. Tutti posti dove gli steward non ci sono.