Lo chiamano “calcio spezzatino” ed è la pietanza che la Lega di serie A e B sta pensando di servire alle famiglie italiane per l’intero fine settimana, dalla merenda del sabato alla cena della domenica. Si tratterebbe, in pratica, di sfalsare ulteriormente gli orari della partite, scaglionandole una dopo l’altra, dagli anticipi del sabato, pomeriggio e sera, al tourbillon della domenica, con fischio di inizio alle 13, alle 15, alle 17.30 e alle 21. Il fine è chiaro: fare in modo che il tifoso si possa abbrutire davanti alla pay-tv seguendo quattro o cinque partite di fila, anche quelle che non sono della sua squadra del cuore, facendo incassare più soldi alle emittenti e quindi più diritti al calcio. «Il calcio spezzatino - dicono gli strateghi del pallone - è l’unica soluzione per mantenere inalterate certe risorse finanziarie». Risorse, possiamo scommetterci, indispensabili per continuare ad impinguare i conti correnti di giocatori, procuratori e mediatori. Che possa esistere un’altra strada, ovvero riportare il mondo del calcio con i piedi per terra, razionalizzando le spese, adeguando le uscite alle entrate, accorciando la distanza che ormai separa l’Italia reale dall’Italia del pallone, tutto questo neanche passa per la mente. Pochi giorni fa, ricevendo in udienza la serie D, Benedetto XVI ha chiesto: «Possa il gioco del calcio essere sempre più veicolo di educazione ai valori dell’onestà, della solidarietà e della fraternità, specialmente tra le giovani generazioni». La voglia di “spezzatino” procede in direzione davvero opposta, asservendo la voglia di sport attivo a quella di sport passivo, accentuando la commercializzazione e la spettacolarizzazione che sono all’origine della rinuncia ai valori, e soprattutto tentando di occupare con invadente e totalizzante arroganza il tempo della festa, «rubandola» ai giovani e alle famiglie. Se, infatti, la festa è svuotata del suo oggetto primario, la gioia di vivere la creaturalità e la relazione, se è derubata della sua ragione d’essere, se perde la sua identità di festa, se non è più spazio di gratuità e di riflessione, se tradisce infine la sua dimensione di spiritualità e si appiattisce su caratteristiche di consumo, analogamente al tempo feriale, non esaudisce il suo fine nel complessivo desiderio umano.