Ogni partita è partita della vita

E’ una sorta di “tribuna del vescovo”, una finestra dove si apre la riflessione di un pastore alla volta. Il Csi pubblica saltuariamente sul quotidiano della Cei, Avvenire, una rubrica “Il campo e la vigna” che raccoglie pensieri sul tema “Educare alla vita buona del Vangelo”. Chiamati ad esprimersi alcune “eccellenze” della Chiesa in Italia, tra i vescovi italiani più sensibili all’argomento sport e ai suoi possibili riflessi pastorali. Pubblichiamo di seguito il testo inviatoci dal Vescovo della Diocesi di Palestrina, Mons. Domenico Sigalini, Assistente Ecclesiastico Generale dell'Azione Cattolica Italiana.

Il Csi pubblica saltuariamente sul quotidiano della Cei, Avvenire, una rubrica “Il campo e la vigna” che raccoglie pensieri sul tema “Educare alla vita buona del Vangelo”.  Chiamati ad esprimersi alcune “eccellenze” della Chiesa in Italia, tra i vescovi italiani più sensibili all’argomento sport e ai suoi possibili riflessi pastorali. Pubblichiamo di seguito il testo inviatoci dal Vescovo della Diocesi di Palestrina, Mons. Domenico Sigalini, Assistente Ecclesiastico Generale dell'Azione Cattolica Italiana.

Leggevo proprio in un regolamento di seminario che i momenti ricreativi sono parte integrante della vita comunitaria, vera espressione di fraternità, che nessuno deve considerare solo accessori o riempitivi. I tempi ricreativi siano utilizzati per il gioco organizzato, lo sport e per qualche passeggiata. A me interessa qui far notare che lo sport è parte integrante di una formazione globale e di una vita sana anche spiritualmente. Se questo lo si dice in seminario, dove le preoccupazioni sono soprattutto di natura intellettuale e spirituale, significa che lo sport non è proprio un passatempo, ma una componente costitutiva di una corporeità sana e di una vita di relazioni ordinata e valida. Ancor di più diventa una componente anche di un equilibrio spirituale. Il CSI lo immagino dedicato allo sport in questa prospettiva globale dell’educazione di una persona.

Educare è una azione bella e entusiasmante; quando ti relazioni con le persone  e le vedi aprirsi a valori nuovi, a ideali belli, cogli la gioia negli occhi perché gli si allarga la vita, gli si aprono orizzonti nuovi. Educare non è correre ai ripari, ma dare risposta a una esigenza profonda che c’è nello statuto dell’umanità. Siamo nati desiderosi di  crescere verso mete belle; quando i genitori ci hanno fatto nascere ci hanno regalato il massimo dei valori umani: la vita. E da quel momento per tutti da dono è diventata un grande compito: la sua crescita e la sua educazione. E’ nello statuto antropologico dell’umanità il compito dell’educazione.

In questo nostro mondo di oggi c’è una forza incoercibile che spinge l’umanità verso la libertà. L’urgenza educativa non è dovuta soprattutto alla barbarie dei tempi, ma è la domanda impellente, che viene dalla grande sofferenza che oggi gli uomini e i giovani soprattutto provano di fronte alla ampia libertà in cui devono scrivere la propria esistenza e alla necessità di tenere assieme vita, affetti, relazioni, quotidianità, interiorità, domande di senso. Bara al gioco chi dice che sei libero di fare tutto quello che vuoi, che sei libero di prendere tutte le decisioni che ti piacciono di più; non hai limiti, il mondo è tuo, divertiti, prova tutte le soddisfazioni che vuoi… Invece la libertà più vera è farsi dono  e l’educazione è soprattutto aiutare ciascuno a viverla così.

E’ una scelta tipicamente antropologica, umanissima, non confessionale quella di fare della propria vita un dono, è l’unica strada della realizzazione della propria umanità, è il motore di una vita piena, la certezza di dare all’esistenza il suo unico sapore umano. E’ un principio non negoziabile, un coefficiente assolutamente necessario di ogni progetto di vita. Non sta dalla parte della costrizione, della tortura di una esistenza, ma della genialità, perché farsi dono è lo scatenamento di tutta la fantasia di cui la vita è dotata. Viene espresso in tutti i mille modi di pensare, di essere, di offrirsi e di sottrarsi, di  rapportarsi e di stare nella propria solitudine. Uno spazio privilegiato per questo obiettivo educativo non è il sacrificio per se stesso, ma il gioco.

Chiarito che sport è gioco e non business, professione e non avventura, gara e non guerra, divertimento e non violenza… e tanti altri elementi che ne conseguono;

chiarito che educazione non è operazione idraulica di travasi, imbuti e contenitori, ma offerta di ragioni di vita…

è interessante collegare lo sport a tutta quella urgenza che i giovani di oggi hanno di sentirsi offrire ragioni, di vita, cercarle, approfondirle entro una esperienza che le permette, le affina, le fa esaltare, le scrive con determinazione nelle coscienze, le fa trovare nella concretezza dei rapporti, degli sforzi, del superamento di sé.

Essere sportivi è avere una meta, è godere di una compagnia, è sentirsi di una squadra

Essere sportivi è allenarsi a vivere la partita della vita, in cui ci vuole tutta la grinta possibile, perché in quella non si può perdere mai.

Giocare è sempre un inno alla vita, che arriva dritto al suo Signore.

Chi gioca non si monta la testa, ma la usa. I piedi sono solo per calciare il pallone, o per dare stabilità e slancio al corpo; le gambe solo per scattare e correre, il cuore per pompare sangue e non dimenticare mai che anche lo sport sta in piedi per amore.

Le gare misurano le forze; le partite mettono in gioco le relazioni. Lì nel campo ci stanno giovani con i loro corpi scattanti, ci sono gli altri. Gli altri sono sempre e solo amici, non sono mai solo concorrenti, altrettanto ben allenati, intelligenti e vivaci. Vincere o perdere conta molto, ma non è tutto.

Ogni partita è una partita della vita non di un torneo. Ci si mette corpo e anima, personalità e sogni, se stessi e si cresce come uomini e donne.

Lo sport inoltre immette ideali laddove c’è la noia, offre compagnia dove vince la solitudine, amicizia dove prevale lo sfruttamento reciproco.

Nello sport si manifestano in maniera armonica alcuni elementi necessari dell’educazione:

le domande dei giovani, che sono sempre nuove e sempre più profonde ed esigenti

gli obiettivi dello sport e della vita, che sono non certo commerciali

gli strumenti, che dipendono dai contesti

la valutazione che deve esserci, non va evitata anche se non piace sempre.

Il punto più delicato è far incontrare domande e obiettivi, non ridurre lo sport ad assoluto, per cui comanda l’obiettivo della riuscita della prestazione, della vittoria ad ogni costo, isolandolo dall’obiettivo fondamentale che è quello del vivere aperti e solidali, felici e generosi, entusiasti e sereni.. Nello stesso tempo è assolutamente oggi necessario che il giovane sia tenuto in conto per quello che è e non per la prestazione che dà. Ha delle domande, dei sogni, delle attese, dei bisogni che devono essere fatti emergere e armonizzati nel corso della preparazione e della prestazione sportiva.

Se questo è vero ogni dimensione della vita deve essere tenuta sotto traccia: l’affettività, il progetto del futuro, la religiosità, il lavoro, lo studio, la professione, le amicizie, la salute…

In una società globalizzata anche nel modo di interagire delle risorse e dei problemi non si possono creare isole specialistiche che ignorano il resto e creare mostri o fenomeni che sanno tutto del pallone o dei campi e niente della vita, e del suo Signore.

E’ pure dimostrato che uno sportivo che ha una personalità armonica è più capace di resistere e di qualificarsi.

Per questo anche lo sport non è autosufficiente nell’educare alla vita, ha bisogno di entrare in circolo con una sorta di costituente educativa fatta da tutti gli interattori dell’esistenza. Porprio il CSI ha inventato la parola alleducatore, perché un allenatore è significativo se sa offrire nello sport le ragioni di vita che lo superano. E’ professionalmente allenatore, ma umanamente un educatore di tutto rispetto.

 

+ Domenico Sigalini