L'Anno della Fede e l'impegno dei laici cristiani sportivi
Superare il verbalismo, l'estetismo, il moralismo i suoi tre moniti.
L’Anno della Fede e l’impegno dei laici cristiani nello sport e con
lo sport
Assisi 9 dicembre 2012
Meeting Nazionale del CSI
Voglio iniziare la mia riflessione con una citazione di papa Benedetto XVI. Nell’UDIENZA GENERALE di Mercoledì, 27 gennaio 2010 parlò di S. Francesco di Assisi e proprio sulla frase che mi avete indicato come tema affermò:
“Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: “Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina”. Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.”
Facciamo un salto nel tempo e riferiamo all’oggi questo richiamo storico. Non è un caso che Benedetto XVI abbia indetto un Anno della Fede proprio ora. Questa è l’epoca in cui “il fenomeno del distacco dalla fede” si è progressivamente manifestato presso civiltà, culture, nazioni che “apparivano impregnate di Vangelo”. Parecchi cristiani la “presuppongono” ma non la “tengono viva”, anzi la indeboliscono rendendo impossibili forme vere di convinta testimonianza cristiana. Una desertificazione dell’anima progressiva. Si parla infatti di apostasia dell’anima e anestesia dei sensi. Il mio conterraneo don Vinicio Albanesi nel suo ultimo libro ha parlato delle “crepe” delle “rovine” dei mali della Chiesa. Ne ha individuati tre. Il primo è il «verbalismo», cioè la «prevalenza delle parole umane sulla Parola di Dio». Il secondo è «l’estetismo», cioè la «mancanza di semplicità ed essenzialità evangelica», il terzo è «il moralismo», determinato da atteggiamenti solo «esteriori» di virtù cristiane, contraddette poi nella pratica. Poi ci sono i “mali” rumorosi, quelli della contro testimonianza, quelli che disorientano e che fanno parlare di “riforma necessaria della Chiesa”: “l’infedeltà alla vocazione, scandali, poca sensibilità per i problemi dell’uomo contemporaneo e del mondo attuale” (cfr. Instrumentum laboris del Sinodo scorso).
Vedete che assonanza con i tempi di Francesco d’Assisi? In più c’è che anch’essa, la Chiesa, sta seguendo il “saeculum”, si secolarizza:
“non è soltanto una minaccia esterna , ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale” (cfr. Benedetto XVI) Eppoi “la "morte di Dio" annunciata, nei decenni passati, da tanti intellettuali cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo. In questo contesto culturale, c’è il rischio di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo. Si rivela quanto mai urgente reagire a simile deriva mediante il richiamo dei valori alti dell’esistenza, che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo la conclusione dell’esistenza terrena”.
La Nuova Evangelizzazione e l’Anno della Fede
Comprendete da soli che “nuova evangelizzazione” non è uno slogan, ma la sfida per la Chiesa di oggi.
Nel recente Sinodo sulla nuova evangelizzazione si è parlato molto di “trasmissione della fede”, di comprensione della fede, di forza trasformatrice della fede, di pedagogia della fede, dei soggetti chiamati alla trasmissione della fede. Ma soprattutto si è detto “che non si può trasmettere ciò che non si crede e non si vive”.
Ecco allora l’Anno della Fede, voluto da papa Benedetto con uno scopo ben preciso: “la Chiesa nel suo insieme, e i pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” (cfr. Benedetto XVI in “Porta Fidei”)
Il nostro cardinal Presidente Angelo Bagnasco indica il “territorio” come spazio e luogo per una nuova evangelizzazione:
“È il legame col territorio quello che ancora una volta ci interpella, interpella noi Chiesa italiana, giacché non c’è punto del Paese che non sia assegnato ad una data parrocchia. Non c’è famiglia, per quanto dislocata, che non abbia un’attribuzione ecclesiale. Non c’è persona che non debba essere, in un modo o nell’altro, raggiunta da una proposta. In particolare, è la continuità generazionale quella che si vuole assicurare perché, nonostante le carenze e le ristrutturazioni pastorali qua e là in corso, non capiti che gruppi di ragazzi – e relative famiglie – siano non invitati a prendere parte all’ itinerario dell’iniziazione cristiana, dunque alla catechesi e alla vita sacramentale. Tutti debbono venire interessati e coinvolti…Rigorosamente parlando, oggi non può esistere una pastorale solo stanziale. Le persone e le famiglie si muovono, emigrano più facilmente, si spostano la domenica, dividono la settimana tra località diverse, senza dire che non c’è parrocchia in cui non risiedano degli immigrati, per di più provenienti da diverse parti del mondo, dunque di culture e religioni differenti. Pensare ad una pastorale statica e stantia significa di fatto tagliarsi fuori dalla vita e dalle sue inevitabili articolazioni. Oggi è imprescindibile pensarsi collocati in un contesto culturale dinamico: nessuna persona, nessuna famiglia vanno lasciate a se stesse, ignorate, non interpellate”.
In questo contesto avvertiamo che la “pastorale dello sport” ed in senso più ampio la “pastorale del tempo libero” o come si dice oggi “della festa”, opportunamente “integrate” con le altre “pastorali” non diventi appunto “stanziale”, “statica” “stantia” ma aperta ad una particolare articolazione della vita dell’uomo.
Ci siamo detti più volte, in contesti diversi, che nella pastorale ordinaria, nelle proposte per l’anno della fede, nel proseguire il cammino decennale sulla “sfida educativa” le nostre pastorali potranno trovare una sintesi di impegno proprio sulla parola “festa”. Lo sport è festa.
E’ utile quindi riproporre in questo contesto e nel contesto di quest’anno alcune considerazioni programmatiche.
E’ riemersa con forza il bisogno di riconsiderare il tempo della “festa”.
Numerosi eventi ecclesiali del dopo Verona hanno messo a tema l’ambito “lavoro e festa” coniugandolo sotto diverse prospettive con il Csi presente e protagonista (cfr. il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona del settembre 2011 – l’incontro mondiale delle famiglie a Milano giugno 2012 - il lavoro di riflessione teologico-pastorale sul tempo libero come “luogo teologico” e del rapporto tra “gioco e trascendenza” avviato – la riflessione su “arte e fede” in campo catechistico e i risvolti nel turismo - il sorgere negli istituti di scienze religiose e nelle Università statali di Corsi e master inerenti il tempo libero, il turismo, lo sport, la crescente attenzione delle istituzioni statali e locali nei confronti dei nostri settori,).
Sono tornati al centro dell’attenzione diversi “bisogni”:
- abitare e capire il territorio: di come bisogna passare dal territorio geografico a quello della vita delle persone recuperando il concetto di “vicinato” e di “socialità diffusa”, di “prossimità” elementi tipici di relazionalità e festa;
- custodire e difendere la “domenica”: impensati alleati del mondo del lavoro, del sindacato, degli analisti sociali hanno manifestato riserve e rivendicazioni su questo tema (cfr. la campagna “liberaladomenica” promossa da Confesercenti)
- affrontare, allora, il problema del lavoro domenicale e per quel che ci riguarda di una corretta integrazione nel “giorno del Signore” degli eventi sportivi;
- recuperare il significato antropologico della “festa” e del “riposo”;
- orientare a corretti stili di vita nel tempo della festa (vincere la dispersione e l’evasione);
- ribadire la centralità dell’Eucaristia domenicale;
- comprendere il “nuovo” tempo libero e di come si ramifica nella scacchiera mediale;
- riformulare i valori del tempo libero e della festa (il valore del riposo, dell’accoglienza, del benessere, del piacere, la via della bellezza- del creato- del paesaggio, il valore educativo del gioco, l’arte di viaggiare, il recupero dell’aspetto ludico dello sport, la salvaguardia della spontaneità, del gusto,dell’entusiasmo, l’amore del vero e del bello, la gioia di vivere).
Si sono riaffermate con forza alcune convinzioni: che enormi sono le risorse della pastorale del tempo libero, turismo e sport sul versante culturale, antropologico, ecclesiale per ridefinire il tempo libero come tempo della festa.
Mi piace allora pensare all’impegno del Csi nella Pastorale dello sport, soprattutto in questo anno della fede, rimodulando quei tre mali della Chiesa di cui ha scritto don Albanesi sul nostro versante:
· Abbiamo bisogno anche noi di superare il “verbalismo”. Lo sport facilita il raggiungimento di questo obiettivo. Ma quale sport ? Uno sport per l’uomo, quello che mette al centro la persona, che non la mitizza, ma la libera rendendola capace di raggiungere la meta. Lo sport “parlato” non forma la persona. Solo quando scende in campo l’uomo si misura con se stesso e accetta la sfida di diventare persona. La vita cristiana ha anch’essa un traguardo da raggiungere, la santità. Ed anche il cammino verso la santità deve superare l’ostacolo del “verbalismo” ri-mettendo al centro la Parola di Dio “perché, come dice Paolo, non succeda che dopo aver predicato agli altri (cioè parlato, parlato, parlato) venga io stesso squalificato”. E in questa affermazione mi sono ispirato agli scritti del celebre “mistico dello sport” Alessio Albertini che credo conosciate tutti. Che non avvenga che la nostra proposta sportiva sia omologata ai vari sistemi dominanti e risultare cosi’ “squalificata” e “squalificante”. Spazi, luoghi, progetti, iniziative siano veramente “alternativi” e aperti a tutti. Non una fabbrica, una catena di montaggio, ma un “laboratorio artigianale” e di qualità della pratica sportiva.
· Dobbiamo superare l’ “estetismo”. All’homo ludens questo invito dice della necessità del recupero, della bellezza del gesto atletico, dell’armonia delle varie pratiche sportive, della leggerezza dell’essere quando è preso dai vortici del virtuosismo , la bellezza del vincere dopo la fatica e gli sforzi della preparazione, la bellezza di non sentirsi dei perdenti dopo aver subito una sconfitta non prevista,la bellezza di appartenere ad una squadra, dove amicizia e solidarietà si intrecciano; la “bellezza” poi non riguarda anche le “emozioni” che veicola: la meraviglia, lo stupore, l’incanto, il restare “a bocca aperta”, l’esultare, il gridare la gioia per avercela fatta. Francesco d’Assisi da ancor più valore a questa prospettiva aggiungendo alla bellezza la minorità. Un paradosso nel mondo dello sport perché altre sono le parole dominanti: apparire, essere ammirati, diventare celebri. La minorità, non vuole distruggere queste parole, ma collocarle al posto giusto: porre limiti e un limite al nostro delirio d’onnipotenza vuol dire vivere la minorità, che non è inferiorità, ma valore aggiunto perché dice la sobrietà gioiosa,l’essenzialità serena, il gusto delle cose semplici, la naturalezza che incanta, la cordialità nutrita da simpatia ed empatia, il gusto dell’incontrarsi e dello stare insieme e quindi raccontare, e perché no, pregare, contemplare, ammirare. Nello sport.
· Ma va superato anche il “moralismo”: purtroppo anche il gioco, lo sport, si è fatto sporco: azzardopoli, scommessopoli, calciopoli, alcune tragiche morti per suicidio nel mondo dello sport che hanno fatto scrivere “scusatemi, ma non riesco più a vivere”( cfr. Alessio Bisori campione di pallamano suicida sotto un treno a Bologna) sono segnali che la visione mercantile della vita ha raggiunto l’anima ed ha inquinato un po’ tutto il tessuto sociale e che anche settori che richiamano i valori della festa, della gioia, dell’entusiasmo, della felicità, dell’avventura non riescono più a soddisfare o dare risposte al desiderio di vita, di realizzazione, di felicità di tanti nostri giovani. Siamo interpellati e chiamati non a produrre risultati, spettacolo, ma ad educare ,educare, educare ancora. Ma soprattutto a riproporre una dimensione dello sport che non “tira più”: il dilettantismo. Io in fondo sono un “dilettante” di fronte a voi “professionisti”. Parlando con uno di voi tempo fa gli ho detto che avrei messo sulla porta dell’ufficio questa scritta: “Qui opera un direttore “dilettante”. E spiegavo: agisce solo per diletto, piacere, divertimento, per quel sentimento di gioia fisica e spirituale” che lo fa felice. Non è anche questo, nell’anno della fede, un richiamo forte alla semplicità, all’essenziale, alla naturalezza propri di Francesco di Assisi ? Non è forse questa la prospettiva per riparare “crepe” “crolli” “rovine” che poi vengono sintetizzate nella parola “crisi” che in quest’ottica non è solo economica, ma etica, politica, educativa, antropologica, religiosa ? e non possono essere “scintille di speranza” in questo tempo di deserti, aridità e passioni tristi ?
Avrei voluto chiudere con un richiamo al Cantico delle Creature. E mi è tornato in mente un altro canto, una poesia di una contemporanea ora scomparsa, Alda Merini. Maurizio Felugo, il leader della squadra nazionale di pallanuoto, medaglia d’argento alle ultime Olimpiadi di Londra., l’ha tatuata sul suo polpaccio. Ha detto che “lo rappresenta perché parla del rapporto tra Dio e l’uomo, di spiritualità, di quando capita di considerarsi soli ma in profondità non è così” (cfr. Corriere della sera, agosto 2012). Bella e originale testimonianza di fede. Ve la leggo:
Io lo conosco:
ha riempito le mie notti
con frastuoni orrendi,
ha accarezzato le mie viscere,
imbiancato i miei capelli
per lo stupore.
Mi ha resa giovane e vecchia
a seconda delle stagioni,
mi ha fatta fiorire e morire
un’infinità di volte
Ma io so che mi ama
E ti dirò, anche se tu non ci credi,
che si preannuncia sempre
con una grande frescura
in tutte le membra
come se tu ricominciassi a vivere
e vedessi il mondo per la prima volta
E questa è la fede, e questo è lui,
che ti cerca per ogni dove
anche quando tu ti nascondi
per non farti vedere
Alda Merini