Se ne sono accorte anche le colf straniere che lavorano nelle famiglie italiane: i nostri ragazzi non brillano per educazione.
Se ne sono accorte anche le colf straniere che lavorano nelle famiglie italiane: i nostri ragazzi non brillano per educazione. Il 50,9% di essi si lascia andare a capricci, a vizi, a disubbidienze, ad atteggiamenti di comando quando desiderano qualcosa. Secondo le colf la colpa è del modello educativo adottato, troppo permissivo, che lascia la porta aperta all’egoismo e all’irresponsabilità. Che versiamo in una situazione da allarme rosso lo aveva già denunciato, in ottobre, il viceparroco di Finale Emilia, rinviando la celebrazione della Cresima per 62 ragazzi perché troppo maleducati e abituati al turpiloquio per ricevere il sacramento. Anche i fenomeni del bullismo e della delinquenza giovanile, in costante aumento, vanno riportati a tale contesto, quali conseguenze estreme del deficit educativo. Sembra quasi che l’inno di questa generazione sia la vecchia canzone di Vasco Rossi: «Voglio una vita maleducata/ di quelle vite fatte così/ Voglio una vita che se ne frega/ Che se ne frega di tutto sì». Scaricare la responsabilità di una soluzione soltanto sull’istituzione famiglia è ingiusto e serve a poco, anche perché nessuno si adopera per insegnare ai nuovi genitori come crescere i figli da «bene educati». D’altro canto la responsabilità educativa è diventata trasversale e tocca l’intero “villaggio” sociale. Educare è ora cosa troppo difficile perché basti affidarla alle invenzioni e all’esempio di qualche «apostolo». Bisogna essere in tanti, essere in rete, essere competenti, essere coraggiosi, essere appassionati. Tanto più che gli obiettivi educativi vanno ormai ben oltre l’apprendimento delle «buone maniere». Ai giovani dobbiamo conferire parametri chiari per molto altro ancora: in tema di solidarietà, di assunzione di responsabilità, di integrazione, di tolleranza, di legalità, di democrazia, di cittadinanza attiva. Lo sport è uno degli strumenti disponibili, e la società sportiva è uno dei pochi luoghi in cui i giovani di diversa provenienza possono essere aggregati e indirizzati a pratiche di vita virtuose. Il CSI ha scelto di educare attraverso lo sport, il gioco, la festa. Può sembrare poco, invece è moltissimo. Non serve predicare da altri pulpiti, da altre cattedre: i ragazzi hanno bisogno maggiormente di chi condivida con loro un pezzo di strada piuttosto di chi si limita ad indicagli un percorso. C’è un antico sapore di vangelo in questo stile: educare strada facendo, camminando insieme, coinvolgendosi l’uno nella vita dell’altro, sperimentando fianco a fianco fatiche e speranze nella ricerca della verità.