«Fa male dover coniugare ancora le parole calcio e violenza. Il termine calcio suonerebbe meglio unito ad altri, come amore, bambini, famiglia. Riportiamo nello stadio i colori delle bandiere festose, che i ragazzi ci vadano agitando le sciarpe e non i bastoni». Questo l’appello lanciato ieri mattina a Roma, in una sala del Viminale, nel corso di un convegno su “Calcio e violenza”, da Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo Paparelli, il tifoso laziale ucciso il 28 ottobre 1979 da un razzo lanciato dalla curva opposta nel corso di un derby Roma-Lazio.

Il convegno, organizzato dall’associazione Il Melograno unitamente al Centro Sportivo Italiano, nell’imminenza del riproporsi del derby calcistico della capitale, in scena all’Olimpico mercoledì sera, ha tratto spunto dall’attualità dell’evento per aprire un confronto sul tema della violenza da stadio con gli studenti di alcuni istituti superiori romani, invitati in sala a dire la loro. Gabriele Paparelli ha quindi annunciato che mercoledì assisterà al derby, andandosi a sedere proprio tra i tifosi giallorossi, in quella Curva Sud da cui partì il razzo che tolse la vita al padre. La sua aspirazione è di seguire la partita al fianco del papà di Gabriele Sandri, che ha annunciato anche lui la presenza nella curva giallorosa. «Insieme al papà di Sandri – ha detto – vorrei dire così ai giovani di Roma che si può andare allo stadio tutti insieme, senza odio».

In attesa che lo stadio torni un luogo adatto alle famiglie, l’Osservatorio antiviolenza del Viminale continua a lavorare sulle misure di sicurezza. 

 

 

 

Intervenendo al dibattito, moderato dal giornalista Giovan Battista Brunori, il presidente dell’Osservatorio, Felice Ferlizzi, ha parlato di nuovi strumenti allo studio, tra cui dovrebbe esserci quella “tessera del tifoso” elettronica in grado di garantire l’accesso allo stadio soltanto ai tifosi in regola. Che il clima degli stadi si sia esasperato negli ultimi anni lo ha assicurato Carlo Longhi, ex arbitro internazionale, oggi commentatore sportivo, che ha denunciato come, dopo Moggiopoli, anche gli arbitri sono diventati oggetto di pesanti minacce che ormai fuoriescono dagli stadi.

L’importante, decisivo, tema della prevenzione è stato introdotto da Riccardo Pacifici, vicepresidente della comunità ebraica romana. Xenofobia e razzismo – ha denunciato – si affacciano sempre più spesso negli stadi, e troppe volte ciò accade nell’inerzia delle istituzioni e nel silenzio del media, tant’è che tocca proprio alla comunità ebraica richiamare l’attenzione su quanto accade. Ma il problema del razzismo non è responsabilità dello sport, è qualcosa che attraversa le frange di estrema destra della politica italiana, con gruppi eversivi e xenofobi che utilizzano gli stadi come ribalta per le loro ideologie e come terreno di addestramento per strategie eversive. Queste organizzazioni vanno stanate non solo dagli stadi, ma da tutta la società italiana.

 

 

 

 

Su una linea analoga si è sviluppato l’intervento del presidente del CSI, Edio Costantini, anch’egli convinto che la violenza e le “maleducazioni” si siedano sugli spalti degli stadi mutuate dalla società che è all’esterno. Le radici del fenomeno sono nelle marginalità giovanili, nell’emergenza educativa, nel vuoto esistenziale di tanti giovani che cercano poi di riempirlo trasformandosi in eroi negativi della domenica. Bisogna fare crescere la cultura sportiva, e non solo quella. I tornelli e le barriere non servono, perché la vera battaglia si gioca fuori dagli stadi, in termini educativi. Sostanzialmente d’accordo con questo approccio si è dichiarato, infine, nel suo intervento conclusivo il vicepresidente del CONI, Riccardo Agabio.