-IL PUNTO- I Giochi spenti dal business e dalla politica

A fronte delle contestazioni che stanno accompagnando il viaggio della fiaccola olimpica verso Pechino, e delle richieste di boicottaggio delle Olimpiadi in segno di protesta per la repressione in Tibet, il ministro degli Esteri cinese, Jiang Yu, ha dichiarato …

A fronte delle contestazioni che stanno accompagnando il viaggio della fiaccola olimpica verso Pechino, e delle richieste di boicottaggio delle Olimpiadi in segno di protesta per la repressione in Tibet, il ministro degli Esteri cinese, Jiang Yu, ha dichiarato che: «Le Olimpiadi sono un evento per il popolo di tutto il mondo e non devono essere disturbati da problemi politici irrilevanti. Non bisogna mescolare i problemi politici con quelli sportivi». Il signor Yu dovrebbe studiarsi un po’ meglio la storia delle Olimpiadi moderne, così potrebbe scoprire il ripetuto incrociarsi tra ragioni politiche e ragioni sportive: nelle Olimpiadi di Berlino del 1936 (organizzate dalla Germania di Hitler), in quelle di Città del Messico nel ’68, Monaco ’72 e Mosca ’80. La stessa designazione delle sedi olimpiche ubbidisce a ragioni politiche, oltre che dichiaratamente commerciali. Se la Cina non fosse stato quel formidabile mercato in espansione che tutti sanno, le Olimpiadi 2008, che a loro volta sono un formidabile affare economico, a Pechino non ci sarebbero mai arrivate. Del resto non è la prima volta che le Olimpiadi vanno in scena dove il rispetto dei diritti umani è a dir poco problematico, come appunto è successo a Berlino, a Città del Messico e a Mosca. Le Olimpiadi moderne sono un grande e affascinante spettacolo sportivo, che in tempo di televisioni satellitari coinvolge l’intero pianeta. E, come si è già detto, è anche un colossale business per il quale, qualunque cosa accada, vale l’antico motto the show must go on. Noi che alla retorica dello sport non crediamo, siamo convinti che non sia nei compiti e nelle possibilità di uno sport fatto spettacolo e business cercare di dare voce ai diritti umani calpestati. E c’è troppo ipocrisia nel modo in cui alcuni grandi leader politici si dicono pronti a disertare la cerimonia d’apertura dei Giochi di Pechino, ma poi continuano a fare affari con la Cina disinteressandosi dei diritti mancati dei lavoratori cinesi. Lasciamo dunque che le Olimpiadi vadano per la loro strada, assumendosi le responsabilità delle proprie scelte. Certo qualcosa cambierà. Per restare dalle nostre parti, avremmo preferito che il tempo e gli spazi investiti nel dibattito “Olimpiadi sì, Olimpiadi no” fossero stati spesi a ragionare, soprattutto in tempo di campagna elettorale, sugli investimenti da destinare allo sport di base e giovanile, quello che, vissuto in prima persona e non davanti ad un televisore, è l’unico davvero in grado di costruire educazione, e quindi di cambiare in meglio il mondo.