Le ultime battute della campagna elettorale sono state accompagnate da più di qualche intervento sul futuro dello sport. Gran parte della discussione si è centrata su due questioni: la conferma o no del Ministero dello sport nella prossima legislatura e la necessità di una certezza di finanziamento al Coni e quindi all’intero sistema sportivo italiano. Sulla seconda questione sono tutti d’accordo; sulla prima sembra di capire che con una vittoria del centrodestra la vigilanza sullo sport tornerebbe alla Presidenza del Consiglio o a un sottosegretariato. Ed è questa l’ipotesi che piace di più al Coni, il quale ha fatto sapere di non ritenere necessaria alcuna futura legge-quadro perché, a suo dire, il sistema va bene così com’è. Per inciso, va segnalato che a fine febbraio il Consiglio Nazionale Coni ha contestato vivacemente la decisione del Ministero dello sport e delle Regioni di destinare una parte del fondo per lo «sport di cittadinanza» alle forze sportive riconosciute come associazionismo di promozione sociale. Il che dimostra, alla fine, che di qualche intervento legislativo per sistemare definitivamente le cose c’è bisogno, eccome. È un vero peccato che il dibattito pre-elettorale sullo sport non si sia allargato a esaminare la questione che precede ogni altra: a cosa debba servire lo sport, uno sport pubblicamente finanziato, in una società post-industriale come la nostra. È davvero così assurdo pensare che debba essere equamente al servizio di tutti i cittadini, agonisti e non, campioni e «somari»? Quali le sue finalità sociali primarie? E quale ruolo affidare allo sport giovanile? Come la pensa il Csi è noto: lo sport ha valore per la società soprattutto se concretizza educazione, integrazione, coesione sociale, cultura, civiltà. A noi sta a cuore, in particolare, la valenza educativa dello sport giovanile, ben sapendo quanto sia inverosimile sostenere che qualsiasi modello di sport giovanile abbia qualità educativa; e ben sapendo quanto stia diventando difficile la questione educativa in Italia. Il dato di fatto, quindi, non è preferire il Ministero o un sottosegretariato dello sport, ma legare la programmazione della politica dello sport a quelle delle politiche giovanili e sociali. Che il bastone di comando ce l’abbia un Ministro, il Coni o le Regioni, l’importante è che, in ogni caso, si lavori avendo a cuore il destino dei ragazzi, favorendo la crescita sul territorio di progetti e iniziative sportive animate da un’autentica intenzione educativa. Senza dimenticare che il diritto di cittadinanza, nella vita come nello sport, ce l’hanno anche i marginali e i “poveri” e non soltanto gli integrati e i «benestanti».