Don Albertini: “Il Consulente ecclesiastico come il navigatore nei rally”

Don Alessio Albertini, insieme al presidente nazionale Massimo Achini, al Vicepresidente Vittorio Bosio, a mons. Mario Lusek e a don Michele Falabretti, si sono confrontati con una trentina di consulenti ecclesiastici provenienti da tutta Italia su tutti quei temi che esprimono l’originalità e l’unicità del CSI nel panorama sportivo nazionale.

La visione del consulente ecclesiastico come mera figura di raccordo fra le strutture territoriali CSI e le diocesi può dirsi non solo di scarsa prospettiva, ma soprattutto incapace di esprimere quel dinamismo e quel contributo di idee che nella realtà odierna sono indispensabili per tradurre il rapporto fra sport e fede in azioni concrete e in esperienze significative. Perché, se da un lato non si può dare per scontata la piena e incondizionata accettazione, da parte di tutti quelli che aderiscono al progetto CSI, del principio per cui lo sport non è di per sè un fine, ma soltanto il mezzo per fare educazione e per diffondere i valori cristiani, dall'altro occorre constatare - senza che ciò suoni come una nota di biasimo - che i dirigenti dei comitati, ai vari livelli, non sempre hanno la lucidità e il tempo necessario per mantenersi sulla rotta di obiettivi così elevati. Ecco allora che il consulente ecclesiastico può e deve assumere la funzione propria del navigatore del pilota di rally, apportando la sua "correzione fraterna" alle iniziative intraprese dai rispettivi comitati.

Questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato dall'incontro dei consulenti ecclesiastici CSI svoltosi venerdì 6 maggio all'Hotel Holiday Inn di Roma, convocato in occasione dell'incontro con Papa Francesco per festeggiare il settantennio dell'associazione.

Don Alessio Albertini, insieme al presidente nazionale Massimo Achini, al Vicepresidente Vittorio Bosio, a mons. Mario Lusek (Direttore Ufficio Nazionale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport della CEI) e a don Michele Falabretti, (Direttore Ufficio Pastorale Giovanile della CEI) si sono confrontati con una trentina di consulenti provenienti da tutta Italia su tutti quei temi che esprimono l'originalità e l'unicità del CSI nel panorama sportivo nazionale.

I due esponenti dell'Associazione sono concordi nell'affermare che al consulente ecclesiastico si chiede innanzitutto di tracciare una strada, affinché non si perdano di vista le proprie radici; quelle piantata nel lontano 1944, quando a guerra ancora in corso un gruppo di pionieri intraprese l'arduo cammino verso la ricostruzione morale e civile del nostro Paese con un discorso sportivo orientato principalmente ai giovani e al servizio della Chiesa. E l'aver realizzato oggi un disegno così grandioso come quello di portare tutto il mondo sportivo in Piazza San Pietro a far festa con il Papa, ha detto Achini, "lo dobbiamo al fatto che sentiamo la fiducia della Chiesa e di Francesco per l'azione educativa dello sport e la storia del CSI. Adesso l'Associazione ha bisogno prima di tutto di voi preti, per aiutarci a comprendere il Vangelo e la vita di Gesù. E' la vostra presenza a fare la differenza, perché potete accompagnare la vita dei comitati e sostenere i nostri dirigenti in qualche momento di fragilità."

Il massimo esponente del CSI ha infine annunciato la prossima indizione di un "tour delle diocesi", che andrà a toccare almeno una ventina di comitati l'anno, intavolando un dialogo diretto coi vescovi al fine di delineare le migliori strategie per diffondere la pastorale dello sport.

L'idea di uno sport quale strumento di evangelizzazione non è nuovo - lo ha ricordato mons. Mario Lusek nell'invitare i sacerdoti a riprendere la nota pastorale del 1995 "Sport e vita cristiana", che ha segnato un punto di non ritorno per quanto concerne l'interesse della Chiesa verso lo sport - ma oggi bisogna fare i conti con gli eccessi di uno sport votato alla spettacolarizzazione, al business, all'accendersi del confronto agonistico; senza trascurare l'avanzata dello sport "fai da te", non istituzionalizzato. "Pertanto - ha detto il cappellano olimpico - la valenza educativa deve essere legata non solo allo sport praticato ma anche a quello "passivo". In questo contesto la presenza del prete stimola il mondo dei laici a maggiori assunzioni di responsabilità, di impegno e di testimonianza". La Chiesa, ha aggiunto mons. Lusek, non si interessa di sport per fare proselitismo ma per elaborare una teologia pratica, anche per superare i limiti che si riscontrano usualmente nel prete che promuove lo sport: la solitudine e l'autoreferenzialità. Motivi che spesso impediscono a questo tipo di pastorale di entrare nel circuito della quotidianità.

La soluzione ideale è quella tracciata da don Michele Falabretti: "L'incaricato della pastorale giovanile della diocesi dovrebbe essere anche il consulente ecclesiastico del rispettivo comitato CSI. Ciò non toglie che al consulente spetti il compito di mantenere il dialogo coi vescovi." Difficile sì, ma non impossibile, considerando che "il CSI ha campo libero, essendo l'unica Associazione ecclesiale che fa dello sport strumento di educazione e di animazione. Il giovane ha un corpo in continua evoluzione, e noi dobbiamo passare dalla costruzione del corpo per formare la persona nella sua spiritualità. E allora, cosa meglio e più dello sport può essere funzionale a questo scopo? Perciò, mentre ai dirigenti e agli allenatori chiediamo di sentirsi anche educatori, ai ragazzi chiediamo anche di imparare a pregare e ad ascoltare il Vangelo."

Anche grazie alla testimonianza di Papa Francesco i tempi sono maturi per la definitiva accettazione, da parte della Chiesa, dello sport come mezzo di propaganda della fede. Ai consulenti ecclesiastici il compito di superare le ultime resistenze e di stimolare i dirigenti Csi a fare una piena e consapevole scelta cristiana.

 

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