7 giugno 2014

Papa Francesco incontra le società sportive

E’ il 7 giugno e il Centro dello sport italiano è nel cuore di Piazza San Pietro. La festa del Centro Sportivo Italiano si celebra nel tempio della cristianità, davanti a 80mila sportivi, appassionati, venuti per abbracciare il loro grande capitano Francesco, come avesse realizzato una rete, marcato una meta, realizzato un tiro libero.

E’ il 7 giugno e il Centro dello sport italiano è nel cuore di Piazza San Pietro. La festa del Centro Sportivo Italiano si celebra nel tempio della cristianità, davanti a 80mila sportivi, appassionati, venuti per abbracciare il loro grande capitano Francesco, come avesse realizzato una rete, marcato una meta, realizzato un tiro libero. Il Papa ha fatto molto di più di un normale campione. In un’ora e mezza, circa, il minutaggio di una semplice partita di calcio, ha messo a segno, ha fornito assist, ha dialogato con gli sportivi, ha indicato la “tattica”, la rotta al Csi e agli sportivi tutti, ha spronato i suoi , da vero leader e capitano.

“Tre strade voglio indicare ai ragazzi: la strada dell'educazione, la strada dello sport e la strada del lavoro, lavoro che ci deve essere da subito. Invito tutti gli sportivi non solo a giocare ma anche a mettersi in gioco nella vita come nello sport, nella chiesa, con gli altri, senza paura ma con coraggio senza accontentarsi di un pareggio" le prime parole di Papa Francesco, che prima di lasciarsi andare nel bagno di folla ciessina, lancia l’ultimo monito, dopo aver apprezzato di essere stato nominato capitano. “Vi ringrazio. Da capitano vi sprono a non chiudervi in difesa: non chiudetevi in difesa, ma a venire in attacco, a giocare insieme la nostra partita, che è quella del Vangelo.”

IL DISCORSO INTEGRALE DEL PAPA

Numerosi i gol del Csi nel giorno del suo compleanno che ha proposto in uno strapieno “Stadio San Pietro” un arcobaleno di speranza, fra colori, cori, canti, e felicità. Lo ha detto bene il suo presidente nazionale Achini: “Noi vogliamo vivere in piazza il volto umano  dello sport, quel volto umano che troppo spesso resta nell’ombra, che non finisce mai nelle cronache dei giornali ma che vive e che pulsa nei campetti delle parrocchie, degli oratori, dei quartieri e delle periferie di tutta Italia; un volto umano dello sport che vuole attivare per tutti e dappertutto.”

LE PAROLE DEL PRESIDENTE ACHINI

Tutti quei volti fanno la storia del Csi, ieri oggi e domani, e nel corso della giornata hanno mostrato il respiro ritmato di un’associazione di oltre un milione di tesserati, che opera in ambiti i più diversi.

Dal saluto degli ex presidenti del Csi che negli anni addietro hanno guidato il popolo arancioblu tracciando un pezzo di strada, ai vari gesti simbolici e testimonianze, proposti al popolo sportivo. Un passaggio sullo sport in carcere, nelle parole di Enrico Mastella, uno sguardo all’attività internazionale, attraverso gli occhi di Jean Pierre, un bimbo di Haiti, l’integrazione con Klaudio Ndoja che ricorda di essere stato accolto da un prete in oratorio. La Chiesa di casa nello sport, con la Clericus Cup e il suo capitano missionario, Romeo Ntsama, il mondo della disabilità, con il capitano della Nazionale Calcio Amputati Csi, Francesco Messori, che sulle stampelle regala la sua fascia al capitano Francesco, il capitano osannato da tutti in Piazza “C’è solo un capitano…Alè Oo!”

Tanti i campioni, presenti nel parterre e nella pedana eccezionalmente realizzata sul sagrato di San Pietro.

Non manca il momento delle bandiere del Coni e del Csi, consegnate al Pontefice dai rispettivi presidenti Malagò e Achini. C’è poi Giovanni Trapattoni che allena in un campetto di calcio, c’è Bruno Pizzul che con la sua mitica voce azzurra annuncia la formazione delle “stampelle” azzurre, un orgoglio del Csi, c’è il monumento Dino Meneghin che aiuta a realizzare un canestro ad un bambino. Gesti sportivi, testimonianza di come lo sport supera le barriere, geografiche, fisiche, promuovendo da 70 anni lo sport per tutti, cercando di portarlo anche nei luoghi più lontani, come Haiti, per dire che dallo sport può nascere un sogno, una passione, la libertà.

Educare attraverso lo sport è prendersi cura dell’altro… Arriva  la benedizione del capitano, sulle nostre famiglie, sulle società sportive e gli oratori e su tutto il mondo dello sport, sui 80 mila che hanno gremito San Pietro. Una festa incredibile, tanti gol nella certezza di non perdere mai la partita dell’educazione attraverso lo sport e che la vittoria più grande sarà quella di riuscire a mettere Cristo al centro della nostra vita.

VOCI E STORIE

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RASSEGNA STAMPA

 

Francesco Messori, capitano e fondatore Nazionale Italiana Calcio Amputati

Mi chiamo anche io Francesco, Santità. Sono nato senza una gamba, ma ho sempre desiderato giocare a calcio. Purtroppo nessuno mi dava questa possibilità finchè il CSI ha cambiato le regole tesserandomi e permettendomi di giocare con normodotati. Un giorno, navigando su internet, ho scoperto che all’estero esisteva una federazione calcio amputati. Allora ho messo un annuncio su facebook e ho creato una pagina dedicata al calcio amputati Italia che ha cominciato a raccogliere adesioni. Così è nato “Un calcio a modo mio”, il primo torneo con i primi 6 atleti amputati. Il numero di adesioni è poi cresciuto così tanto che è nata la prima Nazionale italiana per calcio amputati. Ora so che ho realizzato non solo il mio sogno, ma anche quello di moltissimi altri atleti.

Santità, questa squadra è speciale e ha bisogno di un capitano speciale proprio come Lei…

 

Enrico Mastella, educatore carcerario

Mi chiamo Enrico Mastella e dal 1999 sono educatore presso il carcere di Vicenza.

Santità, Le porto l’affetto dei ragazzi incontrati in carcere, tutti accomunati dall’errore, ma anche dal desiderio di avere una nuova opportunità di vita insieme alle persone che amano. Lo sport è per loro un momento di svago dai problemi, ma anche di crescita nel rispetto delle regole, di incontro con l’altro. Ho qui da parte due semplici doni per Lei: un pallone da calcio con alcuni dei loro nomi e una maglia della loro squadra. Hanno scelto quella del portiere: questi ragazzi in porta vedono Lei che la difende dagli attacchi degli avversari.

 

Jean Pierre, Haiti

Caro Papa, mi chiamo Jean Pierre e vengo da Haiti. Giocare a pallone con i miei amici è una delle cose che mi piace di più. Ogni bambino si diverte a correre dietro a un pallone, è un gioco semplice ma così divertente. Tutti dovrebbero avere la possibilità di provare questa gioia, anche in Paesi poveri come il mio dove ci sono pochi palloni e pochi campi in cui correre. Caro Papa, sono felice di essere qui oggi perché posso incontrarti e portarti l’abbraccio grande di tutti i bambini e i ragazzi di Haiti.

 

Klaudio Ndoja, cestista

Mi chiamo Klaudio Ndoja e sono albanese. Sono arrivato in Italia nel 1998 perché nel mio Paese c’era la guerra civile e anche giocare nel giardino di casa era diventato pericoloso perché cadevano i proiettili. Sono arrivato qui con la mia famiglia. Un giorno sono entrato nell’oratorio di Palazzolo Milanese e ho conosciuto Don Marco che mi ha permesso di giocare a basket anche se non avevo la carta d’identità. Fu sempre Don Marco a dirmi che avevo talento per il basket. È stato allora che sono andato a Desio, il posto più vicino. Da lì è arrivata la serie B e poi la serie A. Lo sport mi ha aiutato ad essere quello che sono. Non so se sono un campione nello sport, ma credo di essere un campione nella vita grazie all’insegnamento dei miei genitori e dello sport.

 

 

 

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