Nemmeno il tempo di iniziare e il campionato di calcio è già franato nella violenza e nei provvedimenti straordinari: trasferte vietate ai tifosi del Napoli per tutto l’anno, Genova “off limits” ai rossoneri per la partita e questo è solo l’inizio. Non si può andare avanti così, e tanto meno ci si deve rassegnare. La violenza negli stadi si può sconfiggere, anzi, si deve sconfiggere, pena la morte del sistema calcio. La ricetta? Per prima cosa bisogna ricordare che altri sono già riusciti nell’impresa. Si pensi all’Inghilterra degli hooligans, risse e devastazioni continue, e guardiamo cosa sono oggi le partite di Premier League: niente reti, famiglie, bambini, “tranquillità”. Ma non ha senso, come taluno vorrebbe, prendere i provvedimenti adottati nel Regno Unito e fare “copia-incolla”: se quell’esperienza dimostra che la violenza negli stadi può essere sconfitta, noi dobbiamo trovare una nostra soluzione. Ritengo che la ricetta da adottare debba contenere due ingredienti indispensabili. Da un lato servono leggi chiare e di applicazione certa. Chi si rende protagonista di episodi di violenza deve essere identificato, condannato immediatamente ed allontanato dagli stadi. E poi, vietare le trasferte e ricorrere ai Daspo va bene, ma occorre continuità. Una linea di “ragionevole fermezza” deve essere garantita tutto l’anno, non solo quando succedono gravi episodi. Dall’altra parte bisogna capire che la repressione, l’applicazione di leggi certe e severe, non basta. Per sconfiggere la violenza serve anche un secondo ingrediente: una grande opera educativa. Non si tratta di spendere belle parole nei convegni, quanto di mettere in campo azioni concrete. Governo, Coni, Società Professionistiche, Scuola, agenzie educative (CSI in testa) devono mettersi intorno ad un tavolo, fare squadra, elaborare un piano di almeno 5 anni e portarlo avanti con determinazione per diffondere una nuova cultura dello sport. Agire tra i giovani, nelle scuole, nelle società sportive di quartiere, nelle curve degli ultras, sono queste le cose da fare. Serve anche un forte coinvolgimento degli oratori e delle scuole, per far tornare i bambini ed i ragazzi allo stadio: alcuni club professionistici, ad esempio Inter e Milan, lo fanno già con convinzione. Proprio questo secondo ingrediente per ora manca. Tutti sono d’accordo a parole, ma la sensazione è che nei fatti una forte azione educativa non interessi quasi a nessuno. Un esempio concreto? Condividere questa linea vuol dire “aiutare e sostenere” le migliaia di società sportive dilettantistiche che esistono in questo paese e stanziare risorse importanti per promuovere i valori dello sport. Da noi invece si spendono cifre da capogiro per rifare in pochi mesi i tornelli degli stadi ed a fatica si recupera qualche briciola da destinare allo sport di base. Sfugge che solo mescolando insieme i due ingredienti (repressione e prevenzione) si può contrastare con forza il fenomeno della violenza da stadio. Provare per credere.