Venerdì scorso il CSI ha consegnato a Reggio Calabria il Discobolo al merito sportivo - la sua più alta onorificenza - al calciatore amaranto Franco Brienza, che il 28 settembre, durante la delicata partita Reggina-Palermo, aveva interrotto la sua corsa verso il gol dopo che due giocatori, uno per squadra, erano rimasti infortunati a terra al centro del campo. Si è voluto premiare un gesto che non ha molti precedenti nel mondo del calcio. Conservo ancora il ritaglio di un trafiletto apparso su un quotidiano circa quindici anni fa, che racconta di un gesto analogo compiuto nel campionato di Eccellenza da un giocatore dell'Omegna, Enrico Dago, oggi membro di presidenza nel CSI, che calciò fuori la palla di un goal sicuro perché il portiere avversario era a terra urlando di dolore. Conservando quella notizia, mi chiedevo quanti anni sarebbero passati prima di rivedere un analogo esempio di fair-play in una partita "vera", con punti pesanti in palio. Sono passati appunto 15 anni, a mio avviso un po' troppi per non chiedersi come e perché il senso autentico della sportività sia diventato un ingrediente così raro nello sport dei "grandi". Sulle spalle dei professionisti, e dei grandi campioni in particolare, grava la grande responsabilità di essere per i ragazzi esempi positivi da ammirare e condividere. Brienza il premio del CSI l'ha meritato, oltre che per la generosità del gesto in sé, per aver ricordato ai suoi colleghi la loro corresponsabilità educativa, e a noi tutti che una gara sportiva non può essere tensione a vincere "a prescindere", tale da sacrificare senso di umanità e di solidarietà verso l'avversario. "Giocare etico" dovrebbe essere la regola e non l'eccezione. I Dago e i Brienza dovrebbero essere tanti da non fare più notizia. Per fortuna nei “campetti” del CSI gesti spontanei da prima pagina ne accadono tanti. Ciò non toglie che forse il concetto di fair-play andrebbe ripensato ed esteso oltre i pur fondamentali principi di lealtà, correttezza e probità. A livello giovanile il giocare "bello" (questo significa "fair") è quello che fa uscire un ragazzo dal campo migliore di quando vi è entrato, che lo fa crescere come persona, che è proposto ed attuato in modo da conferire senso di fiducia, di rispetto, di assunzione di responsabilità, di cittadinanza. E se parliamo di ragazzi, il fair-play non può riguardare solo il loro comportamento, ma quello di tutti anche fuori dal campo: genitori, tecnici, dirigenti, giudici di gara. Chissà che un giorno non nasca proprio nel CSI un codice etico così concepito.