«Con il Csi alleanza per crescere insieme»
Don Albertini al Convegno nazionale di Pastorale Giovanile
«Lo sport può rivelarsi una formidabile agenzia educativa, a patto di mettere in campo non solo le capacità tecniche ma anche i valori etici». Così Don Alessio Albertini, consulente ecclesiastico del Csi nazionale, ad Avvenire a margine del 15° convegno nazionale di Pastorale Giovanile “La cura e l’attesa” svoltosi a Bologna. La cultura del risultato non può e non deve schiacciare la dimensione formativa propria delle realtà oratoriali. «Lo sport porta con sé passione e grandi numeri: è un grande catalizzatore per i ragazzi. Ma spesso ci si dimentica delle responsabilità educative che si hanno nei confronti dei piccoli atleti. La pastorale giovanile può aiutare a prendere piena coscienza di questo importantissimo ruolo». In sostanza, sostiene don Albertini, chi opera in oratorio deve dialogare continuamente con chi guida e coordina l’attività sportiva. «Il ragazzo frequenta entrambi gli ambienti, che quindi non devono mai restare due mondi separati. Tra educatori e allenatori ci dev’essere un canale sempre aperto. Si lavora tutti per lo stesso obiettivo». Che non è quello di vincere, semmai di migliorare se stessi e il rapporto con gli altri. «Bisogna intendersi su cosa intendiamo per risultati: significa solo rimpinguare la classifica o far crescere chi è affidato alle nostre cure? Riuscire a far comprendere l’importanza del rispetto delle regole e degli avversari, ad esempio, è un grande risultato. Da questo infatti derivano buoni comportamenti che si riflettono anche nella vita quotidiana».
Secondo don Albertini, «Csi e pastorale giovanile devono andare a braccetto per sviluppare una riflessione comune su questi temi. Sta al prete o agli altri operatori pastorali coinvolgere gli allenatori, che spesso provengono da altre esperienze, e farli sentire parte di un progetto più ampio. Occorre ripartire dalle parole di papa Francesco: il tempo è superiore allo spazio. Non si tratta infatti di occupare semplicemente un campetto, ma di avviare processi educativi che si sviluppino nei mesi e negli anni. Si semina non per produrre campioni, anche se il Csi ne ha visti nascere tanti, ma per veder sbocciare le persone». Don Albertini indica un possibile modello, ovvero gli incontri tra allenatori ed educatori promossi nella diocesi di Milano per volontà dell’arcivescovo Angelo Scola: «Non si tratta di istituire un gruppo in più, ma semplicemente di far sedere attorno allo stesso tavolo tutte le figure che rivestono un ruolo formativo all’interno dell’oratorio. Il mandato educativo, in questo modo, viene consegnato non solo ai catechisti ma anche agli allenatori». Perché, sorride don Albertini, «non si vive di solo spirito, ma nemmeno di solo pallone». Poi, ovvio, anche i genitori devono mettersi in gioco. «L’oratorio non è un centro che eroga servizi, semmai un luogo di condivisione. Papà e mamme devono chiedersi: perché ho iscritto mio figlio a questa società? Se l’obiettivo è farlo diventare un professionista forse si è sbagliato indirizzo. Inoltre non basta stare a guardare, i genitori devono soprattutto partecipare: anche loro fanno parte della squadra educativa».