-IL PUNTO- Il bello di arrivare anche ultimi

Il migliore ultimo posto. Mi piace raccontarvi la corsa di quello che potremmo definire uno dei migliori ultimi posti della storia. Dobbiamo tornare indietro nel tempo. Per la precisione nel 1968 a Città del Messico, sede delle Olimpiadi. Ai nastri di partenza c’è un tale John Stephen Akhwari, semisconosciuto atleta della Tanzania. La sua è stata una “maratona” diversa. È arrivato sul traguardo quando era ormai buio. Il vincitore se ne era già andato da piu’ di un’ora. Lo stadio era praticamente vuoto e solo un piccolo gruppetto di spettatori lo attendeva con ansia. A metà maratona aveva subito un serio infortunio muscolare ed aveva deciso di proseguire nonostante il dolore ed una gamba mal fasciata da una benda improvvisata e sporca di sangue. Quando esausto, disidratato, disorientato tagliò finalmente il traguardo un giornalista gli chiese: «Ma perché non ti sei ritirato ed hai voluto portare a termine una corsa sapendo che saresti arrivato ultimo?» Akhwari rispose determinato, con il guizzo e l’orgoglio del campione: «Il mio Paese non mi ha mandato ad ottomila chilometri di distanza per iniziare la corsa. Il mio Paese mi ha mandato qui per finire la corsa. Rappresento la Tanzania e non potevo deludere i miei connazionali». Qualche settimana fa ho sentito un allenatore di una squadra di bambini, che aveva appena perso 8-0, uscire sconsolato dagli spogliatoi dicendo: « E adesso che cosa gli racconto?» . Gli suggerirei di raccontargli di quell’atleta dal cognome impronunciabile. Il bello è che la storia di Akhwari ha tanto da insegnare anche a ciascuno di noi. In una società dove sembra conti solo vincere, primeggiare, avere successo, ci ricorda che si possono compiere grandi imprese anche arrivando ultimi. Nello sport come nella vita.