Omelia don Alessio Albertini del 21 aprile 2020
Vorrei sedermi come capita quando si viene invitati nella casa di qualcuno come ospiti graditi in amicizia. Sedersi per chiacchierare, per condividere le gioie e le fatiche che uno può vivere.
L’inizio dell’esperienza cristiana, dopo la risurrezione di Gesù raccontata nel libro degli Atti degli Apostoli, ci dice che la vita cristiana è nata nelle quattro mura di casa, è germogliata e si è approfondita nella vita quotidiana della gente. E anche noi in questi tempi, forse in maniera inaspettata, certo non programmata, ci troviamo seduti nelle nostre case, costretti dentro le quattro mura di casa. Conosciamo bene anche la fatica dei nostri ragazzi che non vedono l’ora di ritornare sui campi e nelle nostre palestre per rivivere l’esperienza dello sport.
Viviamo in questo momento la fatica e l’esperienza degli atti degli apostoli ma sappiamo che il Signore è risorto, che la vita si rinnova e, davvero, una speranza è possibile. Siamo qui a celebrare questa Eucaristia, in maniera inusuale anche per me, per rinnovare la nostra fede e la nostra fiducia nei confronti del Signore e andare insieme verso la ripresa che prima o poi arriverà.
Vogliamo farci guidare dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato.
È un tempo in cui viviamo la notte, la stessa notte vissuta da Nicodemo nel Vangelo quando è andato ad incontrare Gesù. E la notte fa paura, la notte inquieta, la notte è buia. E’ notte nella nostra vita, nelle nostre giornate perché abbiamo a che fare con la morte, una morte vera, reale che per tanti giorni ci insegue. La morte è sempre esistita, dal giorno in cui l’uomo è nato, all’inizio della sua storia. Però mai come in questi tempi, almeno personalmente e per ciascuno di noi, è diventata così oppressiva. Tante persone e tante famiglie che condividono con noi questa preghiera sono state segnate dalla morte. Tanta gente ha vissuto il dolore della perdita di una persona cara. Anche tanti amici del CSI hanno perso la vita in questi giorni. Ci fa paura. Siamo nella notte della morte. Fa paura anche alle tante persone che vivono in prima linea la lotta contro questo virus e contro questa morte.
Viviamo anche nella notte di chi fa fatica a comprendere tutto e si domanda quando finirà? Quando potremo tornare alla vita di prima?. Nicodemo va di notte da Gesù ad interrogarlo perché, secondo la tradizione rabbinica, i grandi maestri della legge studiano la Torah (la legge) la rivelazione di Dio proprio durante la notte. E Nicodemo non capisce tutto e va da questo grande rabbino per interrogarlo e cercare di capire meglio e approfondire. Vuole cercare di cogliere quale è la novità e cosa si nasconde nelle pieghe di questo messaggio nuovo che Gesù è venuto a portare.
Anche noi viviamo la notte di chi non comprende tutto, di chi non ha più tutto sotto controllo. Di chi ha dovuto mettere via l’agenda, i programmi, perché tutto gli è cambiato e non sa come sarà.
Però in questa notte noi ci troviamo a pregare come Nicodemo, ad incontrare il Signore risorto perché vogliamo chiedere che illumini un po' la nostra notte. Che faccia almeno brillare qualche luce che ci indichi la strada, che ci doni la speranza. E credo che Gesù illumini la notte di Nicodemo anzitutto ricordandogli che deve “nascere dall’alto”. Bisogna rinascere dall'alto. Nicodemo si interrogherà come fare a rientrare nel grembo della madre per rinascere un'altra volta. Gesù piano piano gli farà comprendere il significato di quel nascere.
Noi sappiamo bene che nascere non è semplicemente venire al mondo, ma è anche trovare qualcuno che ci accompagni in questo mondo, che ci prenda per mano e ci introduca in questo mondo. Che ci faccia comprendere la bellezza dello stare al mondo. Noi in questi giorni riconosciamo anche la straordinaria ricchezza di tanti anziani che ci hanno fatto entrare in questo mondo. Sentiamo ancora più vere le parole di chi ha dovuto vivere il dopoguerra e ci ha raccontato cosa ha significato vivere la guerra, vivere nella tristezza, vivere la fatica di una ricostruzione. Ci ricordiamo anche di tante persone che ci hanno raccontato che cosa è importante per la vita, cosa significa affrontare la vita. Tante persone del CSI che hanno vissuto il loro volontariato, la loro passione, nei confronti dei ragazzi e che ci hanno introdotto in questo mondo. Tanti di questi oggi sono venuti meno. Però ci hanno lasciato un grande insegnamento che ci permetterà di nascere e rinascere nuovamente. E cioè che è importante lavorare insieme, è importante stare insieme. Che ciascuno faccia la propria parte. In questi giorni mentre ascoltavo i nomi di qualcuno che ci aveva lasciato, che ho dovuto andare a benedire per la sepoltura, riconoscevo che questi non erano semplicemente dei numeri ma dei volti concreti, delle persone che avevano delle relazioni. E mi veniva in mente una pagina di un romanzo di Italo Calvino “Le città invisibili” dove Marco Polo, questo grande esploratore, stava spiegando all’Imperatore dei Tartari la bellezza del ponte. E spiegava anche come pietra su pietra si poteva costruire questo ponte. E ammirando la grandezza di questa costruzione, l’imperatore gli domandava: “qual è la pietra che sostiene questo ponte?”. L’esploratore italiano gli disse: “non è tanto la pietra che tu devi guardare, ma la linea dell’arco che queste pietre formano”. Allora l’imperatore ebbe a dirgli: “ma allora perché mi parli delle pietre? Parlami soltanto dell’arco. E’ quello che mi importa”. E Marco Polo risponde: “ma senza pietre non c’è un arco”. Senza la vita di ciascuno di noi non c’è una relazione. Senza l’impegno di qualcuno che tesse nuovamente degli archi, dei ponti, non ci sarà un mondo nuovo, un mondo migliore. C’è bisogno dell’impegno di ciascuno di noi. Ciascuno di noi è quella pietra necessaria perché questo grande sogno di Dio di creare un mondo migliore, un arco straordinario, possa esistere ed essere costruito. Questo credo sia la prima luce che il Signore ci offre dentro queste nostre notti. Ricordati che devi far nascere anche con il tuo impegno questo mondo nuovo.
Darsi da fare, impegnarsi, è anche vivere quell’esperienza straordinaria che ci ha raccontato la pagina degli Atti degli Apostoli in cui ciascuno offriva ciò che aveva per le necessità degli altri. Condivideva quello che aveva perché è necessaria la “generosità”. La parola generosità nasconde dentro il generare. Cioè il far crescere. Immettere qualche cosa in questo mondo. E’ necessaria la generosità perché fiorisca la bellezza di questo mondo.
Etty Hillesum, è una ragazza olandese, di origine ebraica, morta nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1943. Questa ragazza non era particolarmente religiosa, ma quando sono cominciate le persecuzioni e il male sembrava farsi avanti e vincere lei non ha voluto girare la testa da un’altra parte. Aveva anche l’opportunità di scappare e di mettersi in salvo ma non l’ha fatto. E allora comincia a scrivere un diario che è diventato poi un testo bello per la spiritualità. Lei racconta le notti in cui vede il male davanti agli occhi e sembra vincere. Ma più vede il male e più rientra in se stessa e scopre Dio in fondo al cuore. E anche lei chiede a Dio che possa essere salvata, che si fermi tutto quel male. Ma non riesce a trovare una risposta finché un giorno annota proprio questo: “tu non puoi aiutare noi ma siamo noi ad aiutare te”. Sente che anche lei è chiamata ad aiutare Dio per rendere migliore questo mondo.
Si può aiutare Dio, come racconta il libro degli Atti degli Apostoli, quando ci si prende cura dei più deboli, di chi ha più bisogno, di chi sembra un fallimento. Allora si dà la parte migliore di sé e si aiuta Dio a rendere migliore questo mondo. Siamo chiamati anche noi, come CSI, come amanti dello sport. Credo che lo sport avrà questa grande forza e si impegnerà, alla ripresa, a prendersi cura dei più deboli. A prendersi cura dei ragazzi, di chi è sbandato, di chi sembra non avere una speranza. E sarà un po’ come aiutare Dio in questo modo. Sentiamo allora questo invito e questa responsabilità che Dio chiede alla nostra vita e alla nostra Associazione.
Vorrei concludere pensando a quello che Gesù dice a Nicodemo: arriverà lo Spirito Santo. E’ la più grande promessa che Gesù ha fatto e il più grande dono. Lo Spirito Santo è ciò che rinnova la vita, che dà vigore alla vita. Però è difficile da spiegare cos’è questa novità, come funziona questa novità. E infatti Gesù usa questa immagine nel Vangelo: lo “Spirito è come il vento”. Tu lo senti ma non capisci né da dove arriva e né verso dove va, però c’è. Lo Spirito Santo è ciò che rinnoverà la vita e ciò che gli ridarà vigore. E noi dobbiamo sperare e credere che questa novità sarà possibile, sarà nuova. Noi non possiamo neppure immaginarcela. Però sappiamo che verrà e dovremo essere pronti.
Tra i personaggi citati negli Atti degli Apostoli c’è Barnaba. Colui che vende il suo campo e offre tutti i suoi averi agli Apostoli. E’ lo scopritore di San Paolo. Se vogliamo utilizzare una immagine sportiva, Barnaba è colui che farà esordire San Paolo nella scena della vita della Chiesa. Sarà lui che lo introdurrà e lo farà diventare Apostolo fino in fondo. Nessuno avrebbe mai immaginato che uno come Paolo avrebbe potuto rendere grande la Chiesa, sappiamo bene che cosa ha fatto. Eppure c’è stato. Grazie allo Spirito è successo anche questo.
Allora crediamoci davvero che dentro questa notte che stiamo vivendo, il Signore sta preparando delle novità. Ci sta preparando ad un futuro nuovo. Ci sta preparando a qualche cosa che neppure possiamo immaginare. Forse sta chiamando ciascuno di noi a preparare questa novità, come ha chiamato Barnaba per preparare la novità di Paolo.
Allora vorrei che continuando questa nostra preghiera, mentre ricordiamo tutto il bene delle tante persone che ci hanno lasciato e che hanno attraversato la nostra vita e le affidiamo alla misericordia del Signore, ciascuno di noi davanti all’Eucaristia sappia davvero ricevere questo invito del Signore a non temere e a far sì che questo vento nuovo irrompa nella sua vita senza sapere né da dove viene e né tantomeno dove lo sta portando.